SPAGNA - Il «Santo Càliz» esposto domani per il Papa: una storia altro che Dan Brown...
di Gian Maria Vian
Non molti lo ricorderanno, ma l'8 novembre 1982, nella cattedrale di Valencia, Giovanni Paolo II procedette all'ordinazione sacerdotale più numerosa del suo pontificato e celebrò l'eucarestia con il Santo Cáliz, un'antichissima coppa lì custodita e identificata come il calice usato da Gesù nell'ultima cena.
L'oggetto cioè che il greco della prima lettera ai Corinzi (11, 25) e dei Vangeli sinottici denominano potèrion e che dal medioevo è al centro di numerosi e popolari cicli (letterari, artistici, musicali, esoterici) come il Graal. Ma il gesto del Pontefice passò allora quasi inosservato. Domani, trascorso quasi un quarto di secolo, Benedetto XVI incontrerà i vescovi spagnoli e firmerà un messaggio a loro indirizzato proprio nella cappella trecentesca della cattedrale valentina dov'è ora conservato - e domani sarà esposto sull'altare - il «santo calice». E certo, dopo l'astuta speculazione commerciale intorno al modestissimo romanzo di Dan Brown, l'avvenimento colpisce. Proprio come durante la scorsa settimana santa, quando il Papa rievocò con sobria precisione il tradimento di Giuda mentre impazzava la grottesca rivalutazione dell'apostolo traditore sulla base del vangelo gnostico appena pubblicato. Affascinanti e diverse sono le tradizioni sul calice usato da Gesù. E altrettanto diverse sono le identificazioni: oltre il Santo Cáliz di Valencia, tra i più antichi vi è la coppa argentea detta di Antiochia e ora a New York, oggetto di disparate datazioni e probabilmente del VI secolo. Ma nel VII secolo il «calice del Signore» fu visto a Gerusalemme dal vescovo Arculfo e un «sacro catino» è dal XII secolo nella cattedrale di Genova, mentre più o meno negli stessi anni Guglielmo di Malmesbury lo riteneva portato a Glastonbury da Giuseppe d'Arimatea. Per non parlare dei cicli letterari medievali e delle leggende moderne e contemporanee - connesse con i templari e con logge massoniche - che lo collocano tra Francia, Inghilterra e Scozia. Il calice valentino è formato di tre elementi: una piccola coppa di calcedonio (una varietà di quarzo) alta 7 centimetri e larga 9, una base dello stesso materiale un po' più larga e più bassa decorata con oro, perle e pietre preziose, e una doppia ansa d'oro che unisce base e coppa. Quest'ultima è molto antica - è stata datata tra il IV secolo a.C. e il I dell'era cristiana - ed è originaria di Antiochia o di Alessandria, mentre la base è stata lavorata a Córdoba nel secolo X o XI e reca un'iscrizione araba variamente interpretata e tradotta («Per colui che risplende», oppure «il misericordioso», o ancora «gloria a Maria»), e l'impugnatura appare un prodotto carolingio. La prima notizia del Santo Cáliz risale al 14 dicembre 1134, quando un canonico di Saragozza attestò in un documento di averlo visto «in un'arca d'avorio» nel monastero pirenaico di San Juan de la Peña, e allo stesso testo risale la spiegazione della sua presenza in Spagna, dove l'avrebbe inviato Lorenzo, il santo diacono martirizzato a Roma il 6 agosto 258 con il vescovo Sisto II e altri tre compagni. Nella capitale dell'impero la piccola coppa sarebbe stata portata da Pietro e tramandata ai suoi successori, fino appunto al 258. Giunto a Osca (l'attuale Huesca), il calice sarebbe stato messo in salvo dall'invasione araba nell'impervia località dove fu visto nel 1134 e da dove nel 1399 - grazie all'antipapa spagnolo Benedetto XIII - passò a Saragozza e poi a Barcellona, per giungere, nel 1437, nella cattedrale di Valencia. Con due brevi assenze, per essere salvato dall'invasione napoleonica e dagli estremisti repubblicani durante la guerra civile: tra il 1809 e il 1812 ad Alicante, Ibiza e Palma di Maiorca, e tra il 1936 e il 1939, nascosto da una ragazza e trasferito in diverse case della città. E al Graal di Valencia si sarebbe interessato poco più tardi anche Heinrich Himmler, nel quadro del fosco esoterismo nazista. Al termine di una storia che è molto più vera di ogni speculazione esoterica e che mostra la resistenza alle persecuzioni, grazie alla fede di un popolo a cui gli ultimi vescovi di Roma - sin da Giovanni XXIII, che nel 1959 concesse indulgenze per il XVII centenario dell'arrivo in Spagna del calice - hanno voluto rendere omaggio.
di Gian Maria Vian
Non molti lo ricorderanno, ma l'8 novembre 1982, nella cattedrale di Valencia, Giovanni Paolo II procedette all'ordinazione sacerdotale più numerosa del suo pontificato e celebrò l'eucarestia con il Santo Cáliz, un'antichissima coppa lì custodita e identificata come il calice usato da Gesù nell'ultima cena.
L'oggetto cioè che il greco della prima lettera ai Corinzi (11, 25) e dei Vangeli sinottici denominano potèrion e che dal medioevo è al centro di numerosi e popolari cicli (letterari, artistici, musicali, esoterici) come il Graal. Ma il gesto del Pontefice passò allora quasi inosservato. Domani, trascorso quasi un quarto di secolo, Benedetto XVI incontrerà i vescovi spagnoli e firmerà un messaggio a loro indirizzato proprio nella cappella trecentesca della cattedrale valentina dov'è ora conservato - e domani sarà esposto sull'altare - il «santo calice». E certo, dopo l'astuta speculazione commerciale intorno al modestissimo romanzo di Dan Brown, l'avvenimento colpisce. Proprio come durante la scorsa settimana santa, quando il Papa rievocò con sobria precisione il tradimento di Giuda mentre impazzava la grottesca rivalutazione dell'apostolo traditore sulla base del vangelo gnostico appena pubblicato. Affascinanti e diverse sono le tradizioni sul calice usato da Gesù. E altrettanto diverse sono le identificazioni: oltre il Santo Cáliz di Valencia, tra i più antichi vi è la coppa argentea detta di Antiochia e ora a New York, oggetto di disparate datazioni e probabilmente del VI secolo. Ma nel VII secolo il «calice del Signore» fu visto a Gerusalemme dal vescovo Arculfo e un «sacro catino» è dal XII secolo nella cattedrale di Genova, mentre più o meno negli stessi anni Guglielmo di Malmesbury lo riteneva portato a Glastonbury da Giuseppe d'Arimatea. Per non parlare dei cicli letterari medievali e delle leggende moderne e contemporanee - connesse con i templari e con logge massoniche - che lo collocano tra Francia, Inghilterra e Scozia. Il calice valentino è formato di tre elementi: una piccola coppa di calcedonio (una varietà di quarzo) alta 7 centimetri e larga 9, una base dello stesso materiale un po' più larga e più bassa decorata con oro, perle e pietre preziose, e una doppia ansa d'oro che unisce base e coppa. Quest'ultima è molto antica - è stata datata tra il IV secolo a.C. e il I dell'era cristiana - ed è originaria di Antiochia o di Alessandria, mentre la base è stata lavorata a Córdoba nel secolo X o XI e reca un'iscrizione araba variamente interpretata e tradotta («Per colui che risplende», oppure «il misericordioso», o ancora «gloria a Maria»), e l'impugnatura appare un prodotto carolingio. La prima notizia del Santo Cáliz risale al 14 dicembre 1134, quando un canonico di Saragozza attestò in un documento di averlo visto «in un'arca d'avorio» nel monastero pirenaico di San Juan de la Peña, e allo stesso testo risale la spiegazione della sua presenza in Spagna, dove l'avrebbe inviato Lorenzo, il santo diacono martirizzato a Roma il 6 agosto 258 con il vescovo Sisto II e altri tre compagni. Nella capitale dell'impero la piccola coppa sarebbe stata portata da Pietro e tramandata ai suoi successori, fino appunto al 258. Giunto a Osca (l'attuale Huesca), il calice sarebbe stato messo in salvo dall'invasione araba nell'impervia località dove fu visto nel 1134 e da dove nel 1399 - grazie all'antipapa spagnolo Benedetto XIII - passò a Saragozza e poi a Barcellona, per giungere, nel 1437, nella cattedrale di Valencia. Con due brevi assenze, per essere salvato dall'invasione napoleonica e dagli estremisti repubblicani durante la guerra civile: tra il 1809 e il 1812 ad Alicante, Ibiza e Palma di Maiorca, e tra il 1936 e il 1939, nascosto da una ragazza e trasferito in diverse case della città. E al Graal di Valencia si sarebbe interessato poco più tardi anche Heinrich Himmler, nel quadro del fosco esoterismo nazista. Al termine di una storia che è molto più vera di ogni speculazione esoterica e che mostra la resistenza alle persecuzioni, grazie alla fede di un popolo a cui gli ultimi vescovi di Roma - sin da Giovanni XXIII, che nel 1959 concesse indulgenze per il XVII centenario dell'arrivo in Spagna del calice - hanno voluto rendere omaggio.
Tratto da del 7 luglio 2006, Attualità
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