martedì 2 ottobre 2007

I “Santi Graal”, alla ricerca di nuove risposte

La ricerca millenaria di una delle più sacre reliquie della cristianità. False rivendicazioni e nuovi aggiornamenti

Enrico Baccarini

©2004

Non si tratta di un errore grammaticale, apparentemente sfuggito al redattore dell’articolo, abbiamo voluto intitolare questo testo volontariamente al plurale per rendere testimonianza ai nostri lettori delle numerose esistenze, oggi rivendicate in tutto il mondo, che si riferiscono al Sacro Calice. Spunto per tale dissertazione è stato un recente fatto di cronaca che ha portato nuovamente alla ribalta un enigma storico quanto religioso che da secoli, se non millenni, si è radicato nei pensieri di fedeli e studiosi. E’ esistito veramente il Sacro Graal? Si è preservato fino ai nostri giorni?

Reliquia avvolta nella nebbia del mistero, rincorsa per secoli come simbolo di purezza e conoscenza, ovvero come fonte di potere e di saggezza. Le sacre rappresentazioni giunte fino ai nostri giorni lo raffigurano in molteplici forme. Da semplice calice (molte volte di legno o pietra) a coppa finemente lavorata nell’oro ovvero intarsiata di pietre preziose. Oggi gli studiosi sono quasi unanimemente concordi nel ritenere il Graal un oggetto senza grosse pretese, probabilmente in pietra difficilmente costruito con materiali estremamente preziosi. L’alone di mistero creatosi attorno a tale reliquia trae parte delle proprie origini storiche dagli antichi poemi medievali francesi, e da autori che molto probabilmente codificarono nei propri poemi conoscenze segrete oltre che gesta di pura fantasia. Il mito del Graal ha comunque rinnovato la propria forza nel corso dei secoli, ha attinto dalle più profonde speranze dell’animo umano caricandosi di una magnificenza ed una importanza che nessun’altra reliquia della cristianita, già scoperta o puramente leggendaria, ha fino ad oggi posseduto. Forse risiede proprio in tale forza arcana il valore che il Graal ha acquisto nei suoi secoli di storia.

Padre Pio ed il Graal

San Pio da Pietrelcina rappresenta, ai primordi del XXI secolo, una delle figure che maggiormente hanno affascinato il mondo cristiano. Figura venerata, ma allo stesso tempo alquanto controversa, ha lasciato nel proprio percorso segni e tracce di una vita dedicata alla santità ma anche enigmi degni del miglior mistero moderno. La figura di quest’uomo, vissuto già dalla vocazione in odore di santità e accompagnato per quasi quaranta anni dalle stigmate, ha lasciato dietro il proprio cammino un nuovo spirito riformatore per una chiesa che si era cristallizzata nel tempo e nelle ideologie. La vicenda umana e religiosa di Padre Pio si arricchisce oggi di un ulteriore tassello delineatosi attorno ad una lettera e ad un vaso venuti alla ribalta lo scorso novembre.

Dopo anni di ricerche e studi nel novembre del 2003 Albero Festa, nipote di quel Dr. Giorgio Festa già medico inviato dalla Santa Sede per effettuare le discusse analisi sulle stigmate del frate da Pietrelcina, ha annunciato il ritrovamento di una lettera autografa del Santo redatta, a quanto sembra, pochi mesi prima di morire e accompagnata da un piccolo vaso di terracotta di origine greca ma di provenienza ignota.

La lettera, considerata da più come un testamento spirituale, parla in modo molto enigmatico di “… un vaso segreto, appartenuto all’apostolo Pietro, dono di Dio… e testimone dell’immensa luce…” lasciato in eredità a “…tutti i poveri…di fede”. La lettera fu inizialmente indirizzata da Padre Pio a Padre Cristoforo da Vico del Gargano, assistente del defunto Dr. Giorgio Festa, per poi passare definitivamente nelle mani di Alberto Festa. La lettera non lascia molti spiragli di comprensione, soprattutto per ottenere dei dati oggettivi sulla reale natura del calice, ammantando ulteriormente di mistero l’intera vicenda. Non viene fatto esplicito riferimento al calice cui, nell’ultima cena, Gesù bevve e nel quale, sempre secondo la tradizione cristiana, durante la crocifissione Giuseppe di Arimatea (discepolo segreto di Cristo) avrebbe raccolto il sangue del Messia morente. I filoni che da subito si sono delineati all’interno di questa annosa disputa hanno visto primeggiare due ipotesi principali, la prima che vede in questo calice il vero Graal quello raffiguratoci da sempre nella tradizione cristiana e nelle antiche leggende, la seconda che vede nel calice, e nel testo, solo la metafora di un messaggio che il padre di Pietrelcina voleva lasciare ai suoi amici e fedeli. Sempre secondo i sostenitori della prima ipotesi (vaso di Padre Pio = Sacro Graal) leggendo letteralmente la lettera se ne desumerebbe che il calice sarebbe passato dopo la Crocifissione nelle mani di San Pietro (Giuseppe di Arimatea dove era finito?) per poi giungere nelle mani di San Francesco di Assisi (San Francesco, secondo una delle interpretazioni proposte, sarebbe il <<padre>> citato nella lettera ovvero il padre spirituale dell’Ordine Francescano cui Padre Pio faceva parte e a cui era profondamente devoto) per infine giungere nella mani del Santo di Pietrelcina.

Prove a riguardo? Per ora nessuna, se si esclude la lettera stessa che comunque non fornisce dati precisi sulla natura dell’oggetto. Se da una parte mancano prove per compiere collegamenti certi tra il manufatto e il Santo Graal recentemente, attraverso analisi di laboratorio, è curiosamente stato confermato che il vaso, pur se di fattura greca, proviene effettivamente da Gerusalemme. Ciò potrebbe non significare niente, come ovviamente potrebbe comprovare certe attestazioni. Dopo aver reso pubblico il manufatto e la lettera Alberto Festa ha dichiarato attraverso canali multimediali[1] di essere stato oggetto di minacce ovvero di intimidazioni. Una storia che sembra un vero rompicapo.

Sul versante opposto si sono avute numerose, ed aspre, critiche nei confronti di tali dichiarazioni compiute coram populo senza neanche l’avallo di autorità competenti o con la presenza di riscontri scientifici ed archeologici sul manufatto che non fossero – come è stato più volte affermato - “di parte”. Tra i primi ad aver manifestato delle riserve, velate però da una certa speranza di verifiche positive, vi è stato Padre Florio Tessari (già Postulatore Generale dell’Ordine dei Frati Minori Cappuccini) che, fin dalle prime dichiarazioni pubbliche, ha esortato alla massima prudenza. Al quotidiano La Nazione[2] ha prontamente dichiarato << Non ho alcun dubbio sull’autenticità dei due oggetti. La lettera è stata effettivamente scritta da Padre Pio e quel vasetto viene effettivamente da Gerusalemme, ma non mi sento di attribuire alle parole di San Pio un significato reale. Mi spiego: credo che quegli oggetti siano stati da lui descritti in modo simbolico. Cioè non credo che la ciotola che teneva nella sua stanza sia effettivamente quella con cui si bagnò le labbra nostro Signore, né che quella lucerna abbia illuminato la strada dei cristiani al Colosseo>>. Dichiarazione alquanto decisa ma, ci sembra, allo stesso tempo avvolta da un alone di speranza per poter suffragare la possibile esistenza del calice di Cristo. La dichiarazione di Padre Tesseri si conclude in quella che, allora come oggi, è l’ipotesi che sembra avere trovato maggiore seguito ovvero che Padre Pio avesse a cuore quei determinati oggetti perché simbolo e parola del calvario subito da Cristo sul Golgota e che San Pio portò sempre nel proprio cuore e nella propria carne, quale simbolo e metafora di tali tribolazioni. A distanza di ormai diversi mesi la storia sembra essere già cascata nel dimenticatoio mediatico. Non sono stati rilasciati ulteriori dati in merito né si conosce se le autorità religiose competenti abbiano compiuto analisi affidabili su tale manufatto.

Altri Graal

Il Graal di Padre Pio sembra aggiungersi ad un già numeroso stuolo di attribuzioni, compiute prevalentemente nell’ultimo secolo, di calici o coppe che dovrebbero, o vorrebbero, essere il Santo Graal. Attraverso le pagine di ARCHEOMISTERI si è già cercato di comprendere e rispondere ai molti quesiti sorti dalle leggende sul Graal e dalla sua storia[3]. Vorremmo ora ripercorrere insieme ai nostri lettori la storia di alcuni “calici” divenuti famosi nell’ultimo secolo. Volendo iniziare dai confini italiani si presentano subito ai nostri occhi due Graal abbastanza conosciuti, uno dislocato a Torino, l’altro sito nella più movimentata Genova.

Il mistero del Graal di Torino nacque verso la fine degli anni ’70, precisamente nel 1.978, ad opera della giornalista e scrittrice Giuditta Dembech che, nel suo volume <<Torino Città Magica>>, espose una affascinante ipotesi sulla possibile conservazione del sacro calice entro la città magica. Si propose che il luogo entro cui il sacro bacile fosse conservato potesse essere indicato dalla Statua della Fede sita nel sagrato della Chiesa della Gran Madre di Dio[4]. Secondo quanto emerso dagli studi della Dembech, osservando nel dettaglio la mano destra della statua ci si accorge che questa tiene un libro aperto appoggiato su un ginocchio mentre, con la sinistra, solleva al cielo un calice. Possibili indizi per risolvere un enigma? Le congetture di alcuni studiosi hanno portato ad ipotizzare che il calice, abbinato alla direzione dello sguardo della statua, potrebbe permettere ad un accorto ricercatore di scoprire l’esatta ubicazione della “Camera del Sacro Graal”. Ma perché proprio Torino dovrebbe custodire il Graal! Si è cercato in questo caso di ricollegare questa reliquia con un’altra, altrettanto nota, conservata sempre in questa città, la Santa Sindone. Con tale aggancio storico-religioso si è cercato di dare maggiore forza, nonché vigore, a questa ipotesi, anche se la mancanza di prove dell’esistenza di un Graal torinese permane e non permette comunque di risolvere l’enigma. Si tratta ancora oggi di congetture che non sembrano aver trovato raffronti tangibili o prove circostanziali per essere verificate. Il dubbio più importante che assilla i ricercatori viene posto nella domanda <>.

Il secondo, ed ultimo, “Sacro Catino” italiano si trova presso il Museo del Tesoro di San Lorenzo nella Cattedrale di San Lorenzo a Genova. Differente nella forma e nell’aspetto dalle raffigurazioni che il mito ci ha tramandato questo catino emana ancora oggi un alone e di mistero e di inviolabilità unici. Lavorato nel vetro per mezzo delle raffinate tecniche artigianali arabe, il catino (di circa 40 cm) venne rinvenuto nel 1.101 d.C. a Cesarea durante la prima crociata[5]. Si ritenne fin da subito che l’oggetto rinvenuto potesse essere stato ricavato da uno smeraldo[6] e che costituisse uno dei doni della regina di Saba a re Salomone. L’identificazione vera e propria del catino di Genova con la sacra coppa avverrà solo nel XIII secolo quando l’arcivescovo Jacopo da Varagine scriverà <<si narra … che in quel piatto Cristo avesse mangiato durante l’ultima cena …che questo sia vero non possiamo saperlo … ma non possiamo però passare sotto silenzio il fatto che in certi libri degli inglesi, si dice che quando Nicodemo tolse il corpo di Cristo dalla croce, egli raccolse il suo sangue in una stovaglia di smeraldo[7]. Il calice venne portato in Italia da Guglielmo Embriaco per poi essere trafugato molti secoli dopo, nel 1.806, dai francesi. Il suo ritorno in Italia fu abbastanza traumatico poiché quando finalmente si riuscì a riottenerne il possesso nel 1.816 si scoprì che era stato praticamente ridotto in pezzi. Solo le attente cure di una commissione appositamente istituita lo consegneranno al suo antico splendore nel 1.950. Anche nel caso del Graal di Genova esistono forti dubbi che possa essere l’originale utilizzato da Cristo. Innanzitutto nel corso dei decenni passati diverse analisi compiute sulla composizione chimica del vetro avrebbero permesso di evidenziare una data di creazione ben posteriore a quella del periodo cristico ovvero una totale difformità artistico-archeologica con le suppellettili utilizzate nel primo secolo dopo Cristo[8].

Altri Graal, antichi e moderni

Dopo una panoramica dei Graal italiani vediamo quali e quanti siano i Calici che diverse tradizioni tendono oggi ad identificare come i veri Graal.

- A Rennes le Chateau, nei Pirenei francesi, da ormai oltre tre decenni stuoli di studiosi ritengono possa essere conservato il sacro Graal insieme a documenti comprovanti una discendenza diretta da Cristo.

- Presso la cappella di Rosslyn, nei pressi di Edimburgo, il mistero del Graal e degli esuli templari sembra compenetrare ogni singolo anfratto. Nel pilastro conosciuto come la “Colonna dell’Apprendista” recentemente il Conte Sinclair ha rinvenuto una piccola coppa in pietra. Rilevamenti attraverso il georadar hanno altresì identificato, all’interno della colonna, una cavità che la leggenda vorrebbe custodisse il Sacro Graal.

- Rocco Zingaro di Sanferdinando (Gran Maestro dell’Ordine del Tempio di Gerusalemme) possiede un calice che afferma essere il vero Graal.

- La coppa di Nanteos, narra la leggenda, venne rinvenuta a Glastonbury (la mitica Avalon delle saghe arturiane) e conservata per secoli dai monaci della medesima abbazia. Nei pressi della cattedrale si trova una collina, la Tor Hill (la Collina di Tor, tr.) sul cui percorso si trova una sorgente naturale dalle proprietà curative. La leggenda vuole che in questo pozzo (chiamato Chalice Well, il Pozzo del Calice) Giuseppe di Arimatea gettasse il Sacro Graal per proteggerlo dalla malvagità umana.

- Presso il tempio zoroastriano Takht-I-Sulaiman, in Iran, sarebbe custodito il Graal. Tra le innumerevoli ipotesi proposte troviamo quella secondo cui Artù sarebbe stato in realtà un rappresentate dello zoroastrismo. Attraverso innumerevoli comparazioni diversi studiosi hanno evidenziato come il castello del Graal arturiano sia identico a Takht-I-Sulaiman il principale centro di culto per la religione zoroastriana. Il collegamento viene effettuato anche con l’appellativo più importante che il Graal ha da sempre avuto, il Fuoco Reale. E’ da ricordare come per zoroastro il culto della fiamma fosse la base fondamentale per tutte le ritualità ovvero simbolo della conoscenza.

- Presso Montsegur, ultima roccaforte catara nei Pirenei, la tradizione vuole fosse custodito il sacro calice. Prima della sua definitiva disfatta, nel 1.244, tre uomini sarebbero riusciti a fuggire dall’incursione dell’inquisizione mettendo in salvo il Graal.

- Nella Basilica di San Nicola di Bari, tradizione narra sia conservato il Santo Graal. La leggenda vuole che quando nel 1.087 un gruppo di mercanti trasportò dalla Turchia le spoglie di San Nicola in realtà utilizzasse tale traslazione per coprire il trasporto, ben più segreto, del sacro calice di Cristo. Secondo alcune tradizioni i mercanti erano in realtà cavalieri pontifici mandati in missione segreta dal Papa Gregorio VII

- Victoria Palmer, un anziana donna inglese, possiede un calice conosciuto come “La coppa di Hawstone Park”. Lo studioso e scrittore Graham Philips ritiene possa trattarsi del vero Graal o, eventualmente, del calice utilizzato da Maria Maddalena per ungere il corpo di Gesù.

- Il Calice di Valencia è probabilmente il Graal più conosciuto in tutta la storia della cristianità, e verosimilmente il più autentico tra tutti quelli esistenti. Conservato dalla “Confraternita del Sacro Calice” presso la Cattedrale di Valencia (Spagna) questo bacile attirò anche l’attenzione di Giovanni Paolo II che in ben due occasioni lo andò a venerare (caso unico rispetto a tutti gli altri). Il materiale, la datazione e la fattura sembrano verosimilmente risalire al I secolo d.C. (è da tener presente che la forma attuale del calice è frutto di manipolazioni successive) e a tutt’oggi viene identificato come il più probabile candidato per essere il Graal. Recentemente lo scrittore austriaco Michael Hesemann ha scritto un libro su tale reliquia che, dopo lunge analisi e verifiche, ritiene possa essere il vero Graal.

- Il Calice di Ardagh è stato spesso presentato con il vero Graal irlandese. Analisi recenti hanno dimostrato che in realtà risale all’VIII secolo d.C.

- Il Calice di Tassilo venne regalato da Tassilo e sua moglie Luitperga, nel 777 d.C. al Monastero di Kremsmunster, dove è ancora oggi preservato. Nei secoli passati si ritenne potesse trattarsi del vero Graal ma è oggi unanimemente riconosciuta la sa tarda fattura ovvero un’origine probabilmente bizantina.

- La Sacra Catina venne rinvenuta durante la prima crociata. Si tratta di un oggetto di vetro di chiara produzione romana collocato tra il II ed il I secolo d.C. Per la sua tarda realizzazione non è probabilmente un buon candidato come Graal, anche se diversi ricercatori tendono oggi vederlo come tale. Si tratta di un oggetto che faceva parte della produzione di massa per le suppellettili romane, questo dato giustifica in minima parte il suo possibile utilizzo da parte degli ebrei nel periodo di Cristo.

- Il Graal di Agrati, apparve per la prima volta sulla copertina del libro “La leggenda del Santo Graal” (Oscar Mondadori, 1995) di Gabriella Agrati e Maria Letizia Magini. Difficilmente può essere identificato con il vero Graal.

- Presso l’isola di Oak Island, Canada, esistono un serie di tunnel sotterranei artificiali che sembrano sfidare le migliori tecnologie umane. Scoperto nel 1795 questo pozzo portò alla scoperta di interessanti manufatti oltre che chiari indizi di una sua realizzazione umana (non naturale come molti sostengono ancora oggi). Studiosi come Peter Sora (Il Tesoro perduto dei Templari, ed. PIEMME 1999) ritengono che questa enorme serie di gallerie sotterranee possa conservare il Graal ivi portato da Templari fuggiaschi.

- La maestosità e l’imponenza di Castel del Monte da sempre fanno sognare studiosi e viaggiatori che vi si sono recati. Costruito da Federico II Hohenstaufen il maniero si costituì fin dal suo completamento come polo culturale ed esoterico. Diversi autori hanno ipotizzato che tra le mura, o in cripte segrete, possa essere conservato il sacro calice.

- Nel 1.962 lo scrittore Gerard de Sede pubblica Le Templier sont parmi nous nel quale avanza l’ipotesi (per lui estremamente fondata) che l’ordine dei monaci guerrieri avesse sepolto il Graal, insieme ad altre reliquie e documenti, sotto il castello di Girsors. Tale tradizione vorrebbe che a seguito dei contatti tra i templari e la setta degli Hashishin (Assassini) questi ultimi avessero consegnato all’Ordine il Bafometto, misteriosa figura semidivina dalla natura ignota. Per alcuni il Bafometto non sarebbe altro che il Graal.

Bibliografia:

- Le Templier sont parmi nous, Gerard de Sède Editions J’ai Lu 1962.

- Il Tesoro perduto dei Templari, Peter Sora ed. PIEMME 1999.

- La leggenda del Santo Graal, di Gabriella Agrati e Maria Letizia Magini Oscar Mondadori, 1995.

- Patrizio Caini, ARCHEOMISTERI, I Quaderni di Atlantide n° 3 & 4, Maggio-Giugno & Luglio-Agosto 2002.

- http://doc.blog.excite.it, lettera aperta di Alberto Festa del 29/11/2003

- Il Graal, la ricerca infinita, di John Matthews ed. Xenia Tascabili 1990

- Il Santo Graal un catena di misteri lunga duemila anni, M. Baigent, R. Leigh, H. Lincoln Oscar Saggi Mondadori 1982.

- http://camelot.celtic-twilight.com

- http://art.supereva.it/ilsitodelmistero/index.html

- http://www.lostinn.com/lworld/index.html di Mario la Ferla

- La Chiave di Hiram, C. Knight e R. Lomas Arnoldo Mondadori Editore 1997.



[1] Confronta “Il BLOG D.O.C., http://doc.blog.excite.it, lettera aperta di Alberto Festa del 29/11/2003.

[2] Uscito il 27 Novembre 2003.

[3] A tale riguardo confronta gli articoli di Patrizio Caini nei n° 3 & 4, Maggio-Giugno & Luglio-Agosto 2002 di ARCHEOMISTERI.

[4] Costruita per ordine dei Savoia dopo la caduta dell’Impero napoleonico tra il 1.818 ed il 1.831 da Ferdinando Monsignore (1.767-1.843).

[5] Indetta nel 1.095 al Concilio di Clermont-Ferrand da Papa Urbano II.

[6] Una della molteplici tradizioni sul Graal vorrebbe che il calice fosse stato ottenuto dallo smeraldo che Lucifero, durante la cacciata dal paradiso, perse cascando agli inferi.

[7] Vorremmo aprire una piccola parentesi su un argomento che ci sembra estremamente interessante. Secondo quanto affermato dall’arcivescovo Jacopo da Varagine << certi libri degli inglesi >> affermerebbero che fu Nicodemo, e non Giuseppe di Arimatea, a raccogliere il sangue di Cristo nel Graal. Nicodemo e Giuseppe furono entrambi coinvolti nella deposizione di Cristo ma la tradizione ufficiale ci ha sempre presentato Giuseppe come il solo e l’unico ad aver raccolto il sangue sgorgante dalle ferite del Messia. In realtà questa tradizione risale al 1.202 e venne cretaJoseph d’Arimathie, Le Roman de l’Estoire dou Graal, per fini, molto probabilmente, letterari. da Robert de Boron nel suo

[8] Confronta anche articoli di Patrizio Caini nei n° 3 & 4, Maggio-Giugno & Luglio-Agosto 2002 di ARCHEOMISTERI, I Quaderni di Atlantide.

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