venerdì 28 dicembre 2007

San Lorenzo mettea Firenze in mostra il suo tesoro


Un articolo tratto da Toscana Oggi sul tesoro custodito presso la Basilica di San Lorenzo a Firenze.

E. Baccarini
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Questo sabato 1° dicembre 2007 (ore 11), nei locali brunelleschiani sotto la Sagrestia vecchia della Basilica di San Lorenzo a Firenze (ingresso dal chiostro), viene inaugurato il nuovo allestimento museale del «Tesoro di San Lorenzo». Interviene il cardinale Ennio Antonelli, arcivescovo di Firenze. L’esposizione permanente del «Tesoro», che si apre al pubblico dalle ore 15, propone attraverso una quarantina di opere databili tra il XIV e il XIX secolo, uno spaccato del patrimonio di arredi liturgici e di reliquiari di pertinenza della Basilica laurenziana (nella foto, il reliquiario dei santi Marco Papa, Amato abate e Concordia martire, eseguito dall'orefice Cosimo Merlini il Vecchio su disegno di Giulio Parigi, 1622).

Nel vecchio magazzino ora trovi il «Tesoro»

di Ludovica Sebregondi

Un magazzino abbandonato usato anche per fiere di beneficenza: a questo era ridotto il grande vano dove è stato allestito il Tesoro della Basilica di San Lorenzo. L’ambiente ha importanza fondamentale nella storia del complesso poiché – costituendo le fondamenta della Sagrestia Vecchia – fu una delle prime parti edificate da Brunelleschi dal 1422. Il grande pilastro centrale che sostiene le volte a crociera ribassate, costituisce la struttura portante dell’intero ambiente, e assume anche una straordinaria valenza simbolica, poiché sorregge – nella soprastante Sagrestia – la tomba di Giovanni de’ Medici (primo mecenate della famiglia che la Sagrestia aveva fatto costruire) e di sua moglie Piccarda Bueri. Ai lati del sepolcro, nel pavimento, furono anche predisposte due sepolture, una per gli uomini, l’altra per le donne del casato. Quando nel 1467 il corpo di Cosimo il Vecchio fu inumato all’interno del pilastro all’incrocio del transetto con la navata, in un monumento realizzato da Andrea del Verrocchio, fu riproposta la valenza funeraria del pilastro che sorregge la Sagrestia Vecchia, da quasi un quarantennio mausoleo familiare: un assetto che sottolinea l’appropriazione medicea degli spazi del complesso fin dalle radici. In ambedue i casi la posizione è straordinariamente significativa anche perché sotto una cupola e davanti all’altare, collocazione riservata in antico ai martiri cui l’edificio era dedicato. Anche Donatello, legato da stretta amicizia a Cosimo, fu sepolto per volere del suo mecenate nei sotterranei in prossimità della tomba di lui, ed è oggi possibile, visitando il Tesoro, ammirare sia il monumento a Cosimo che la memoria donatelliana.

Col tempo si è perso questo alto significato simbolico dell’ambiente sotto la Sagrestia Vecchia, soprattutto dopo che nel Cinquecento il Capitolo lo concesse quale sede alla Compagnia del Santissimo Sacramento. Gli scopi del sodalizio – comuni a tutti i gruppi laicali legati alle parrocchie – erano principalmente connessi alle processioni con le quali l’ostia consacrata era portata ai malati della parrocchia, al trasporto dei defunti e alla partecipazione alle cerimonie solenni. Gli affreschi della volta e delle lunette dell’oratorio sono stati realizzati nel 1733 dal confratello Giovan Filippo Giarrè, mentre non resta nulla degli arredi, poiché la confraternita fu soppressa da Pietro Leopoldo nel 1785, e le opere vennero disperse. La compagnia venne ripristinata nel 1790, e ancora all’inizio del Novecento contava più di millecinquecento ascritti.

L’ambiente oggi, dopo il nuovo allestimento, ha riacquisito la dignità a lungo perduta, recuperando anche il rapporto ideale con la soprastante Sagrestia Vecchia, permettendoci così di osservare da vicino le radici di San Lorenzo, l’antichissima basilica fondata nel 393 e che riallaccia la sua storia alle origini di Firenze.

Dinanzi allo scrigno delle meraviglie

di Elisabetta Nardinocchi

Oro, argento, smalti, pietre dure, cristallo di rocca e pietre preziose: questi i materiali rari e di grande pregio che nel corso dei secoli sono stati lavorati dagli artisti fiorentini per dare vita a suntuosi arredi liturgici e a monumentali reliquiari per la basilica di San Lorenzo a Firenze. Chiusi per secoli negli armadi delle cappelle della chiesa e nei mobili della canonica, sono ora visibili al pubblico grazie all’allestimento permanente di una sala interamente dedicata al Tesoro di San Lorenzo, recuperata nell’ampio sistema dei sotterranei della Basilica.

Molti i motivi per andare a visitare questo prezioso scrigno, che arricchisce i già tanti possibili itinerari artistici che San Lorenzo offre.

Innanzi tutto vi è la bellezza delle singole opere, circa quaranta, databili in un lungo arco di tempo che si snoda dal Trecento (periodo al quale risalgono una serie di eleganti reliquiari in cristallo di rocca con smalti) per giungere all’Ottocento con vari e non meno belli arredi d’altare. E ancora, vi è l’importanza degli artisti che questi preziosi materiali hanno lavorato esprimendo al meglio la loro arte.

Basti pensare all’intenso Crocifisso in argento e argento dorato realizzato intorno al 1444 da Michelozzo di Bartolomeo per rifondere la chiesa di un più antico crocifisso rubato due anni prima, quando era stato prestato per allestire una cappella privata per re Renato d’Angiò nel palazzo della famiglia Bardi, dove questi era stato ospitato. O guardare la monumentale cassa reliquiario (larga più di due metri) destinata ad accogliere i sacri resti dei santi Marco Papa, Amato e Concordia martire, realizzata nel 1622 con, sul fronte, una immagine del granduca inginocchiato sullo sfondo di una nitida veduta della Firenze del tempo. E ancora riflettere sui livelli di assoluto virtuosismo con i quali sono stati lavorati i trionfi di pietre dure che arricchiscono buona parte degli altri reliquiari seicenteschi, realizzati all’interno dei laboratori istituiti dai Medici per servire alle esigenze della corte, ma spesso attivi per le principali chiese cittadine a cui i vari membri della famiglia erano legati.

Ed è questo il secondo motivo che rende di estremo interesse ciò che nel Tesoro è esposto, cioè la capacità di queste opere di raccontare lo stretto legame tra la città, i Medici e la basilica di San Lorenzo, com’è noto assunta sotto la protezione della famiglia fin da quando Giovanni di Bicci (padre di Cosimo il Vecchio) aveva deliberato di contribuire in modo determinante alle spese della nuova costruzione brunelleschiana, identificandola in pratica come chiesa della famiglia e luogo privilegiato sia per i matrimoni sia per i funerali dei propri membri.

Momento centrale di questa vicenda sono due episodi in assoluto di grande rilievo per la storia di tutta la città, legati alle donazioni di papa Leone X (al secolo Giovanni de’ Medici figlio di Lorenzo il Magnifico) e di Clemente VII (al secolo Giulio de’ Medici). Per rendere ancor più evidente il patronato della famiglia sulla Basilica e al tempo stesso esaltare la propria storia e consolidare il proprio potere, questi trasferiscono alla chiesa tra il 1516 e il 1532 (dopo aver fatto erigere da Michelangelo Buonarroti un adeguato spazio sulla controfacciata provvisto di un affaccio da cui mostrare al popolo tali doni) uno straordinario insieme di reliquiari di inestimabile valore, sia per la sacralità dei corpi santi che custodiscono, sia per il valore artistico e storico dei vasi che ne determinano la custodia, già appartenuti nella maggior parte a Lorenzo il Magnifico e realizzati in pietre rare e preziose. Proprio per il loro straordinario valore queste opere, se sono passate per lo più indenni attraverso quattro secoli di storia, sono state anche in parte requisite per essere esposte nei musei (il nucleo più rilevante è oggi visibile nel Museo degli Argenti a Palazzo Pitti), non senza compensare la Basilica con altri oggetti d’arte, sempre di committenza medicea e provenienti dalle cappelle private dei loro palazzi.

Ed è proprio con reliquiari provenienti da Palazzo Pitti che si determina il nucleo più significativo del tesoro che oggi viene esposto, legati a committenze ora di Cosimo III ora di Ferdinando II, ambedue ossessionati dal culto delle reliquie e pronti a sperimentarne tutte le possibili varianti per custodirle in magnifiche teche, in sintonia con il gusto seicentesco in cui non può esistere bellezza se non strettamente unita a una spettacolarità tesa a destare la meraviglia nello spettatore così come nel fedele. È in questo contesto, ad esempio, che nasce il reliquiario dei Santi Fondatori che viene qui esposto, caratterizzato dalla presenza di una serie di statuette a tutto tondo di santi in pietre dure, azionato da un meccanismo che consente alla struttura di ruotare per poterla osservare in tutte le sue parti e far muovere i vari santi come in un vero e proprio teatrino meccanico.

In questi anni l’oro, l’argento e gli altri materiali preziosi sono usati in variazioni sempre nuove, a ribadire quanto al tempo doveva essere credo diffuso, cioè che quanto più il materiali fosse raro e difficile da lavorare, più sarebbe piaciuto a Dio.

E c’è da ringraziare che tale credenza fosse così radicata al tempo visto che, potendo disporre i potenti di allora dei mezzi necessari per acquistare quanto di più raro ci fosse in commercio, e di artisti e artigiani capaci di trasformare i materiali più difficili in figure, maschere ornamentali e capricci decorativi di puro diletto esecutivo, ci ha lasciato opere d’arte di grande bellezza e suggestione.

Con l’esposizione di queste quaranta opere possiamo dirsi interamente svelato quanto San Lorenzo ha custodito segretamente nel corso dei secoli, e completato un itinerario avviato nel lontano 1945, quando una prima parte del tesoro era stata resa visibile nell’allestimento di alcune vetrine nelle sacrestie della Cappella dei Principi, che ancor oggi forniscono l’altro fondamentale percorso per avvicinarsi alla storia della chiesa, al tempo stesso luogo di culto e scrigno prezioso dell’arte fiorentina.

Note sull'allestimento
L'idea del nuovo spazio espositivo è nata nel 2004 con la creazione di un gruppo di lavoro capace di integrare conoscenze e competenze storiche e progettuali. In questa fase progettuale ci si è concentrati sull’allestimento di un ambiente sottostante la Sagrestia Vecchia brunelleschiana, già utilizzato dalla Confraternita del SS.Sacramento. L’idea progettuale è scaturita dall’analisi dello spazio prescelto: la sala dell’ex Confraternita del SS. Sacramento sembra essere infatti la proiezione sul piano interrato dei puri volumi superiori, quasi a costituirne le radici. Inoltre la sala appare caratterizzata dalle figure geometriche del quadrato e della croce che ricorrono nella forma generale, nelle crociere e nel grande pilastro centrale, pernio statico e distributivo del volume, e nell’allineamento degli elementi di imposta delle volte al centro delle pareti. Si sono progettate vetrine che, per dislocazione, forma, materiali e finiture possono dialogare e tessere relazioni con lo spazio architettonico, posizionandole sulle pareti con una distribuzione cronologica partendo da sinistra entrando. I materiali utilizzati e i trattamenti superficiali eseguiti infatti interagiscono con quelli degli elementi del contenitore architettonico, e istituiscono un significativo contrasto con quelli delle opere esposte. Nel disegno delle vetrine si manifesta chiaramente la struttura portante in ferro patinato, la parte inferiore con cartelle finite a calce e patinatura assimilabile a quella delle pareti, la parte superiore caratterizzata da una grande superficie vetrata, in modo da concedere piena visibilità alle opere, lo zoccolo di base in legno e la modanatura del coronamento che alludono a una foggia classica. I piani espositivi ed i pannelli di fondo sono rivestiti in tessuto di raso di color rosso vivo a costituire quinta tonale per le opere in argento, mentre boccole orientabili a fibre ottiche illuminano i piani espositivi, per una corretta conservazione delle opere e per una resa ottimale dei colori. L’illuminazione di fondo della sala è ottenuta attraverso gruppi di lampade alogene celate nei comparti superiori di alcune vetrine in modo da indirizzare i fasci di luce verso le volte con effetto di luce riflessa, non prevaricante sull’illuminazione interna delle vetrine.

Antonio Fara
Per saperne di più
Il nuovo museo, nato da un’idea di Elisabetta Nardinocchi, è cresciuto per il lavoro suo e di Ludovica Sebregondi, insieme ad Antonio Fara che ne ha curato l’allestimento. La realizzazione si deve al forte contributo morale di Edoardo Speranza e al concreto sostegno dell’Ente Cassa di Risparmio di Firenze. La Parrocchia di San Lorenzo, nella persona dei suoi parroci, monsignor Angiolo Livi e monsignor Fabrizio Porcinai, ha sostenuto fermamente il progetto. Il Museo nasce anche grazie all’Opera Medicea Laurenziana nel centenario della sua fondazione. Il catalogo è edito da Mandragora.

Orari
Il Tesoro della Basilica di San Lorenzo viene inaugurato il 1° dicembre e sarà aperto tutti i giorni feriali dalle 10 alle 17 e la domenica (da marzo ad ottobre) dalle ore 13,30 alle ore 17. Il costo del biglietto – comprensivo della visita alla basilica – è di euro 3,50; l’ingresso è gratuito per i residenti nella provincia di Firenze con documento d’identità valido. L’ingresso è dal chiostro.
28/11/2007 - 17:57

mercoledì 19 dicembre 2007

L'Associazione di Vecinos La Torre presenta una discussione sopra il Santo Graal


L'associazione di Vecinos La Torre de Torrent ha organizzato una conferenza pubblica dal titolo ‘Il Santo Graal, mito o realtà’. Incaricato di disvelare agli astanti il mistero di questa famosa leggenda è stato il presidente dell'Istituto Spagnolo di Sindonologia, Jorge Manuel Rodríguez.
Il ciclo di conferenze organizzato da questa associazione continuerà dal prossimo 25 gennaio con la visita di Teresa Puerto Ferrer che parlerà dell'educazione e dello sviluppo.
Rodriguez ha, nel passato già analizzato il tema approfondendolo in riferimento al Santo Calice conservato presso la Cattedrale Metropolita di Valencia. Per chi fosse interessato rimandiamo qui al file PDF della sua relazione.

Fonte - HORTA, 18 Dicembre 2007

giovedì 13 dicembre 2007

Il Cardinale García-Gasco suggerisce di "cercare la santità" per alleviare i drammi umani


El cardenal arzobispo de Valencia, Agustín García-Gasco, alentó a "buscar la santidad" por parte de los laicos para "aliviar los dramas de la soledad y el abandono de muchas personas", y se refirió a los "niños concebidos y no nacidos, víctimas del crimen del aborto en España", así como a las mujeres "víctimas de la violencia machista", según informó el Arzobispado en un comunicado.

García-Gasco se expresó en estos términos durante la homilía en la misa que presidió como clausura de las I Jornadas sobre Santidad Seglar Contemporánea en España, en la capilla del Santo Cáliz de la Catedral de Valencia.

El cardenal destacó que "la aspiración a la santidad nos lleva particularmente a luchar contra toda forma de desprecio de la vida". En esta línea, incidió en que "buscar la santidad no significa por tanto rechazar el mundo y cuanto en él hay de bueno ni encerrarse en uno mismo para encontrarse solo con Dios, olvidando a los demás" porque, en su opinión, esta búsqueda "no puede significar nunca salir de la historia y retirarse en el rincón privado de la propia felicidad".

El purpurado explicó que "buscar la santidad" significa "promover la libertad religiosa, cada vez más restringida en nuestra sociedad; una auténtica cultura de la paz a través de una amplia obra educativa, destinada a derrotar la antigua cultura del egoísmo, la rivalidad, el atropello y la venganza, y a promover la cultura de la solidaridad y del amor al prójimo".

Según el purpurado, también en la actualidad, "en medio de las dificultades del momento presente, el Señor nos invita a la santidad". Al respecto, precisó que las revoluciones y los proyectos políticos que "pretenden implantar una sociedad, como si Dios no existiera, sólo conducen al fracaso".

"Los laicos en la España contemporánea están llamados a emplear todas sus mejores energías y capacidades para instaurar y extender el Reino de Cristo entre los hombres", remarcó García-Gasco, quien advirtió de que "una difundida mentalidad en el mundo actual nos invita a confiar solo en las estructuras del mundo, en las realidades materiales, en la ciencia positiva, como si Dios estuviese al margen de nuestra historia personal y colectiva".

En este caso, lamentó que la vida cristiana "quedaría encerrada en los templos, y comprimida en la interioridad de las conciencias", por lo que subrayó que "no podemos dejar que esa mentalidad se difunda entre nosotros".

Las jornadas sobre santidad seglar, organizadas por la universidad CEU Cardenal Herrera y la Asociación Católica de Propagandistas, contaron también con la participación, entre otros, del prefecto de la Congregación de las Causas de los Santos, el cardenal José Saraiva, y del cardenal valenciano Ricard Maria Carles, arzobispo emérito de Barcelona, quienes pronunciaron el lunes sendas conferencias.

PANORAMA-ACTUAL - 12/12/2007

lunedì 10 dicembre 2007

Che cosa è l'Eucarestia


Per i cristiani Eucaristia o Eucarestia (che i protestanti usano chiamare Santa Cena), termine derivato dal greco (eucharisto: rendimento di grazie) è il sacramento istituito da Gesù nell'imminenza della sua morte, durante l'Ultima Cena. Il Nuovo Testamento narra l'istituzione dell'eucaristia in quattro versioni: Matteo 26,26-28; Marco 14,22-24; Luca 22,19-20; 1Corinzi 11,23-25.

Gesù, nell'Ultima Cena, diede ai suoi discepoli il pane ed il vino come suo corpo e suo sangue, perché lo facessero "in memoria di me". Dunque, fin dalla sua origine, l'atto sacramentale dell'eucaristia rappresenta l'azione sacrificale-conviviale che la Chiesa celebra per comando del suo stesso Signore.

SIGNIFICATO DELL'EUCARISTIA
Fin dall'origine, la riflessione sull'eucaristia ha conosciuto grande ricchezza dottrinale.

L'eucaristia è strettamente collegata con la Pasqua del Signore, con la morte e risurrezione del Cristo. Il fatto fondamentale che collega i due avvenimenti è l'ultima Cena: fondante l'eucaristia e annunciante la Pasqua.

Non è solo il fatto che l'ultima Cena di Cristo si ponga cronologicamente in corrispondenza di essa a porre in relazione la Pasqua ebraica con la Cena stessa e quindi con la Pasqua del Signore, ma si può trovare l'attualizzazione della prima nelle seconde: come l'alleanza con Dio sul monte Sinai è stata suggellata con il sangue di un sacrificio, così Gesù dice: Questo calice è la nuova alleanza nel mio sangue.

San Paolo scrive: "Ogni volta che mangiate di questo pane e bevete di questo calice voi annunziate la morte del Signore finché egli venga". È necessario soffermarsi in modo particolare sulla comprensione dell'eucaristia come memoriale (anamnesi): questo termine nel contesto biblico - quindi con il termine ebraico "zikkaron" - indica azioni rituali riferite ad un evento (salvifico) passato in grado di attualizzarlo, rendendolo presente ai celebranti nelle sue stesse dimensioni salvifiche, e proiettandolo anche verso il futuro.

Nella cena pasquale ebraica, consistente in azzimi ed erbe amare, si assiste dunque alla attualizzazione della liberazione dall'Egitto e degli eventi dell'esodo stesso.

E nella concezione memoriale le confessioni cristiane trovano consenso nell'affermazione: "L'eucaristia è il memoriale di Cristo crocifisso e risorto, cioè il segno vivo ed efficace del suo sacrificio, compiuto una volta per tutte sulla croce e ancora operante in favore di tutta l'umanità" (Battesimo, eucaristia, ministero, documento ecumenico di Lima, 1982).

L'intero complesso della celebrazione eucaristica (e dunque liturgia della parola e liturgia eucaristica) è il memoriale di tutto il mistero di Cristo, centrato nella sua morte e risurrezione; vedremo che la preghiera eucaristica è pervasa dal tema del memoriale, in modo particolare.

Strettamente legata alla persistenza dell'opera salvifica del sacrificio del Signore sulla croce è la presenza reale del Signore nelle specie eucaristiche, che si compie per transustanziazione della sostanza del pane e del vino in sostanza del corpo e del sangue di Cristo. La Chiesa cattolica insegna che ogni eucaristia, in quanto memoriale dell'evento sacrificale di Cristo, è attualmente sacrificio: la Chiesa lo prende come dono del Signore e ne fa il suo sacrificio. Per questo i fedeli sono invitati ad offrire se stessi a Dio in ubbidienza e devozione: perché come ancora san Paolo scrive: "chiunque in modo indegno mangia il pane o beve il calice del Signore, sarà reo del corpo e del sangue del Signore. Ciascuno, pertanto, esamini sé stesso e poi mangi di questo pane e beva di questo calice; perché chi mangia e beve senza riconoscere il corpo del Signore, mangia e beve la propria condanna".

In quanto invocazione dello Spirito Santo, nell'eucaristia la Chiesa si rende disponibile alla sua azione nel mondo per perpetrare nel tempo l'opera evangelica di Gesù.

In quanto comunione alla Cena del Signore, nell'eucaristia i fedeli trovano il fondamento, la fonte ed il vincolo dell'unione fra loro e con Cristo.

Per i cattolici la stessa Messa è effettivamente la rinnovazione dell'ultima Cena (ovvero la sua continuazione in una Comunione di Santi che unisce i presenti alla Messa a chi è morto cristianamente prima di loro) e nell'eucaristia il sacerdote come "Persona Christi" trasforma (come fece Gesù) l'ostia e il vino nel corpo e nel sangue del Cristo.

Anche per le professioni protestanti l'Eucaristia è un sacramento e viene riaffermata la presenza reale di Cristo, ma si nega ( o si riduce ad opinione privata) la transustanziazione, in favore della consustanziazione: ciò fu affermato anche per legge dal Parlamento inglese, che approvò nel 1673 il Test Act, l’editto con cui viene dichiarata illegittima l’Eucarestia Cattolica e la Transustanziazione.

La Hermandad del Santo Cáliz di Valencia presenta a Siviglia le immagini centrali del suo nuovo paso dell'Ultima Cena

Un'opera sull'Ultima Cena per las calles del Marítimo nel 2012

Il Cristo della Santa Cena, opera dell'artista sivigliana Lourdes Hernández, sarà esposto dall' 8 dicembre nell'a Chiesa de los Terceros

Sevilla - 07/12/2007
La Hermandad del Santo Cáliz de la Cena, accolta nella Semana Santa Marinera, ha mostrato a partire, da sabato 8 de dicembre scorso, l'immagine centrale del suo nuovo paso dell'Ultima Cena nella sacrestia della Cheisa de los Terceros di Sevilla, sede della Cofradía de la Cena de Sevilla.
L'immagine del Cristo della Sagrada Cena costituisce una parte di un ambizioso progetto scultoreo iniziato dall'Hermandad de la Santo Cáliz en 2006 e che sarà concluso nel 2012. L'opera sarà composta dalla figura di Cristo e dei 12 apostoli e costituirà l'opera di maggiori dimensioni di tutta l'Archidiocesi di Valencia.

Fonte - La Pàsion Digital, 7 dicembre 2007

giovedì 22 novembre 2007

Messa di Consacrazione della replica del Santo Cáliz










Valladolid



Domenica 25 novembre si è celebrata, presso la Chiesa Padres Carmelitas de la Villa, la consacrazione della copia del Santo Cáliz conservato a Valencia. La cerimonia è stata presieduta dall'Arcivescovo di Valladolid D. Braulio Rodríguez Plaza, con la successiva traslazione del Santo Cáliz alla Chiesa Conventual de las Madres Agustinas.


Il percorso seguito è stato: C/ Alfonso Quintanilla, C/ San Martín, Plaza del Pan, Plaza del Marqués de la Ensenada y C/ Santa Teresa de Jesús.




Fonte -La Revista Cofrade

giovedì 1 novembre 2007

L'Arcidiocesi di Valencia integra a Medina del Campo la replica del Santo Calice

Lo scorso giovedì 25 ottobre, a partire dalle ore 19, nella Cattedrale Metropolitana di Valencia, l'Ecc.mo e Rev.mo Arcivescovo Monsignor Agustín García-Gasco, nominato recentemente Cardinale da Papa Beneddetto XVI, ha ricevuto una delegazione ufficilae della Giunta della Settimana Santa di Medina del Campo acui ha donato una copia del Santo Calice di Cristo venerato nella Cappella di San Vincente Ferrer della citata Cattedrale.


Questa reliquia è una delle più importanti venerate in tutta la cristianità e il conferimento di una sua replica avviene grazie al vincolo storico che la città di Villa de las Ferias (Medina) possiede con il Santo valenciano San Vincente Ferrer, instauratore della processione più antica di Spagna, proprio a Medina, nel 1411.

Il Santo Calice sarà posto a Medina del Campo nel futuro Centro Culturale di San Vicente Ferrer e prima dell'apertura dello stesso sarà custodito nel Convento della MM. Agustinas per conto della Confraternita de la Oración del Huerto y la Vera Cruz, fratellanza incaricata di portare in processione la replica della reliquia durante la Settimana Santa.


I Parroci della chiesa con la replica di una delle reliquie più importanti per la chiesa mentre ascoltano l'omelia di Monsignor García-Gasco.

Nel prossimo novembre la Giunta della Settimana Santa di Medina del Campo organizzerá una serie di eventi in onore del ricevimento di questa importante reliquia.

Fonte - La Revista Confrade, ottobre 2007

lunedì 22 ottobre 2007


Alcune informazioni turistiche per recarsi nei luoghi del Sacro Calice di Valencia, :

  • Oficina de Turismo de Huesca
    Plaza de la Catedral, 1. Teléf.: 974 29 21 70
  • Oficina de Turismo de Jaca
    Teléf.: 974 36 00 98
  • Ayuntamiento de Borau
    Teléf.: 974 36 45 38
  • Ayuntamiento de Santa Cruz de la Serós
    Teléf.: 974 36 19 74
  • Monasterio de San Juan de la Peña
    Teléf.: 974 35 51 19 / 974 35 51 45
  • Catedral de Jaca: Horario de 11 a 13.30 y de 16 a 20 horas.

mercoledì 17 ottobre 2007

Festa annuale del Santo Calice

Il prossimo 25 ottobre si svolgerà presso la Cattedrale di Valencia la festa annuale del Santo Calice.

Riproponiamo il programma della manifestazione così come presente nel sito della diocesi valenciana:

19:30
Messa solenne officiata dall'Arcivescovo
Canta il Coro della Catedrale

Il Santo Cáliz viene portato in processione dalla Cappella in cui è custodito all'altare maggiore della Cattedrale.
Dopo l'omelia l'Arcivescovo benedice alcune replice del Santo Cáliz che regala alle parrocchie che sono state ricostruire o restaurate negli ultimi tempi. Finalmente, il Vaso sacnto è tolto dalla Cappella e accompagnado in processione dalla Juntas Directivas de la Real Hermandad e dalla Cofradía del Santo Cáliz.

lunedì 15 ottobre 2007

En Lourdes ya conocen más y mejor al Santo Cáliz de la Última Cena y a la Virgen de los Desamparados

Un interessante articolo che ci parla di una recente iniziativa occorsa al Santuario mariano di Lourdes dove sono stati presentati due libri uno dei quali dedicato al Santo Calice di Valencia. Un momento estremamente importante e di notevole valore culturale.


E. Baccarini

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Dos libros del Santo Caliz y otro del Santo Rosario que contiene las pinturas de la Basilica de la Virgen de los Desamparados se encuentran desde el pasado sábado en Lourdes

(Desde El Canyamelar (Valencia) José Ángel CRESPO FLOR).-
Dos libros del Santo Cáliz de la Última Cena del Señor que se venera en la Santa Iglesia Catedral de Valencia (El Santo Cáliz de la Cena (Santo Grial) venerado en la Catedral de Valencia) y (El Santo Grial y el Tercer Milenio de la Era Cristiana) se encuentran junto al de "El Rosario de la Virgen María" en el Santuario de Lourdes. La razón de esta donación hay que buscarla en el interés que mostró quien redacta esta crónica en aquellas tres publicaciones estuviesen desde ahora y para siempre en un santuario que lo visitan anualmente millones y millones de peregrinos, Dicho y hecho.

A partir de ahora los estudiosos que se encuentren en esta localidad francesa ya pueden ampliar sus conocimientos acerca de esta gran realidad de la que puede presumir la ciudad de Valencia: el Santo Cáliz de la Última Cena del Señor junto a un libro que habla de la devoción del Santo Rosario y de una advocación mariana que, sobre todo para los valencianos, lo es todo: Nuestra Señora de los Desamparados.

LA DEDICATORIA DE D. JUAN BAUTISTA ANTÓN (RECTOR DE LA BASÍLICA)
"En comunión con la fe y la devoción a la Virgen María, nuestra madre, para el Museo de la Virgen de Lourdes, desde el Santuario-Basilica de la Virgen de los Desamparados"

LAS DEDICATORIAS DE D. IGNACIO CARRAU (PTE. DE LA COFRADÍA DEL SANTO CALIZ DE LA ÚLTIMA CENA DEL SEÑOR)
- "Al Museo del Santuario de la Virgen de Lourdes con la devoción a María que hizo posible con su "fiat" que Cristo se hiciese Eucaristía sobre el Santo Cáliz"

- "En mi calidad de Presidente de la Cofradía del Santo Cáliz de la Cena del Señor de la Catedral de Valencia, como testimonio de devoción y gratitud a María, primer sagrario de Cristo en la tierra!"

Fonte - Periodista Latino, 5 Luglio 2007

A Valencia il «Graal» parla arabo


SPAGNA - Il «Santo Càliz» esposto domani per il Papa: una storia altro che Dan Brown...
di Gian Maria Vian

Non molti lo ricorderanno, ma l'8 novembre 1982, nella cattedrale di Valencia, Giovanni Paolo II procedette all'ordinazione sacerdotale più numerosa del suo pontificato e celebrò l'eucarestia con il Santo Cáliz, un'antichissima coppa lì custodita e identificata come il calice usato da Gesù nell'ultima cena.

L'oggetto cioè che il greco della prima lettera ai Corinzi (11, 25) e dei Vangeli sinottici denominano potèrion e che dal medioevo è al centro di numerosi e popolari cicli (letterari, artistici, musicali, esoterici) come il Graal. Ma il gesto del Pontefice passò allora quasi inosservato. Domani, trascorso quasi un quarto di secolo, Benedetto XVI incontrerà i vescovi spagnoli e firmerà un messaggio a loro indirizzato proprio nella cappella trecentesca della cattedrale valentina dov'è ora conservato - e domani sarà esposto sull'altare - il «santo calice». E certo, dopo l'astuta speculazione commerciale intorno al modestissimo romanzo di Dan Brown, l'avvenimento colpisce. Proprio come durante la scorsa settimana santa, quando il Papa rievocò con sobria precisione il tradimento di Giuda mentre impazzava la grottesca rivalutazione dell'apostolo traditore sulla base del vangelo gnostico appena pubblicato. Affascinanti e diverse sono le tradizioni sul calice usato da Gesù. E altrettanto diverse sono le identificazioni: oltre il Santo Cáliz di Valencia, tra i più antichi vi è la coppa argentea detta di Antiochia e ora a New York, oggetto di disparate datazioni e probabilmente del VI secolo. Ma nel VII secolo il «calice del Signore» fu visto a Gerusalemme dal vescovo Arculfo e un «sacro catino» è dal XII secolo nella cattedrale di Genova, mentre più o meno negli stessi anni Guglielmo di Malmesbury lo riteneva portato a Glastonbury da Giuseppe d'Arimatea. Per non parlare dei cicli letterari medievali e delle leggende moderne e contemporanee - connesse con i templari e con logge massoniche - che lo collocano tra Francia, Inghilterra e Scozia. Il calice valentino è formato di tre elementi: una piccola coppa di calcedonio (una varietà di quarzo) alta 7 centimetri e larga 9, una base dello stesso materiale un po' più larga e più bassa decorata con oro, perle e pietre preziose, e una doppia ansa d'oro che unisce base e coppa. Quest'ultima è molto antica - è stata datata tra il IV secolo a.C. e il I dell'era cristiana - ed è originaria di Antiochia o di Alessandria, mentre la base è stata lavorata a Córdoba nel secolo X o XI e reca un'iscrizione araba variamente interpretata e tradotta («Per colui che risplende», oppure «il misericordioso», o ancora «gloria a Maria»), e l'impugnatura appare un prodotto carolingio. La prima notizia del Santo Cáliz risale al 14 dicembre 1134, quando un canonico di Saragozza attestò in un documento di averlo visto «in un'arca d'avorio» nel monastero pirenaico di San Juan de la Peña, e allo stesso testo risale la spiegazione della sua presenza in Spagna, dove l'avrebbe inviato Lorenzo, il santo diacono martirizzato a Roma il 6 agosto 258 con il vescovo Sisto II e altri tre compagni. Nella capitale dell'impero la piccola coppa sarebbe stata portata da Pietro e tramandata ai suoi successori, fino appunto al 258. Giunto a Osca (l'attuale Huesca), il calice sarebbe stato messo in salvo dall'invasione araba nell'impervia località dove fu visto nel 1134 e da dove nel 1399 - grazie all'antipapa spagnolo Benedetto XIII - passò a Saragozza e poi a Barcellona, per giungere, nel 1437, nella cattedrale di Valencia. Con due brevi assenze, per essere salvato dall'invasione napoleonica e dagli estremisti repubblicani durante la guerra civile: tra il 1809 e il 1812 ad Alicante, Ibiza e Palma di Maiorca, e tra il 1936 e il 1939, nascosto da una ragazza e trasferito in diverse case della città. E al Graal di Valencia si sarebbe interessato poco più tardi anche Heinrich Himmler, nel quadro del fosco esoterismo nazista. Al termine di una storia che è molto più vera di ogni speculazione esoterica e che mostra la resistenza alle persecuzioni, grazie alla fede di un popolo a cui gli ultimi vescovi di Roma - sin da Giovanni XXIII, che nel 1959 concesse indulgenze per il XVII centenario dell'arrivo in Spagna del calice - hanno voluto rendere omaggio.

Tratto da Avvenire del 7 luglio 2006, Attualità

Der Heilige Gral von San Lorenzo

Un interessante articolo in tedesco, dal titolo "Il Santo Graal di San Lorenzo", che riprende l'evento occorso lo scorso anno durante la presenza di Papa Benedetto XVI a Valencia. Un momento storico che sancisce nuovamente l'importanza che questa reliquia possiede per la religione Cristiana.

E.B.


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Es gibt im Christentum keine Reliquie, die so sagenumwoben ist, wie der Heilige Gral. Einer Legende zufolge, befindet sich der mythische Pokal in Spanien. Doch jetzt behauptet ein Forscher, der Kelch habe die Stadt der Päpste niemals verlassen.
Ruht der Heilige Gral verborgen unter einer römischen Papst-Kirche? Pünktlich vor Ostern will ein italienischer Hobby-Archäologe in mittelalterlichen Fresken und Mosaiken Hinweise auf den sagenumwobenen Abendmahlskelch Jesu entschlüsselt haben. Der mythische Pokal des Parzival wäre demnach nicht nach der Legende nach Spanien gelangt, sondern befände sich noch heute im Grab seines letzten Hüters in der Papst-Basilika San Lorenzo fuori le Mura.
Die These, wenn belegbar, wäre eine Sensation. Denn bisher glaubte man den Gral anderswo: Nach mittelalterlichen Quellen übergab Papst Sixtus II. (257-258) die Kirchenschätze während einer Christenverfolgung an seinen Diakon Laurentius. Bevor dieser selbst auf dem Rost gemartert wurde, verteilte er die materiellen Güter an die Armen; die kostbare Kelchreliquie hingegen – manche deuten ihn auch als eine Schale mit Kreuzigungsblut – ließ er durch einen frommen Soldaten nach Spanien in Sicherheit bringen.

Bodenmosaik soll die Position des Heiligen Grals zeigen

Vor den im achten Jahrhundert eindringenden Mauren retteten Christen das Heiligtum der Überlieferung zufolge zunächst in die Pyrenäen. Seit 1437 findet sich in der Kathedrale von Valencia der „Santo Caliz“, den Gläubige als Gral verehren. Papst Benedikt XVI. feierte mit dem Pokal aus grünem Achat eine Messe, als er im vergangenen Juli Spanien besuchte. Nach Expertenmeinung könnte das Gefäß in der Tat aus der Antike stammen. Aber sollte der Wanderprediger Jesus wirklich einen Becher aus Halbedelstein benutzt haben?
Alfredo Barbagallo ist überzeugt, dass der Gral, wenn es ihn gibt, nie die Stadt der Päpste verließ. Wenige Tage, bevor Christen weltweit des letzten Abendmahls Jesu gedenken, ging der römische Freizeitforscher mit seiner an Dan Brown erinnernden These an die Öffentlichkeit: Die zahlreichen Kelch-Abbildungen in der Basilika San Lorenzo seien ein komplexes Verweissystem, das besage: Der Gral ist noch hier. Es gebe sogar einen Wink, wo er zu finden wäre: Das zentrale Bodenmosaik zeigt in einer Ecke einen Kelch mit farbigen Steinen darüber, die der Forscher als Blutstropfen deutet – und als Wegweiser zur angrenzenden Ciriaca-Katakombe, dem ersten Bestattungsort des Märtyrer-Diakons.
Dass der Heilige Gral praktisch unter ihren Füßen liegen sollte, erfuhren die Kapuziner von San Lorenzo am vergangenen Donnerstag, als das italienische Fernsehen telefonisch einen Drehtermin vereinbaren wollte. Bei den Ordensleuten stieß die neue Theorie auf Erstaunen und Skepsis. Die Spurensuche basiere wie jede Ortung des sagenhaften Kelchs auf einer Legende – „und eine Legende ist eine Legende“, meint Pater Rinaldo Cordovani, der die Basilika betreut.

Eine wissenschaftliche Recherche steht noch aus

Statt weitere Erklärungen am Telefon abzugeben, besteht der Pater auf einem Ortstermin. Dort entpuppen sich Grals-Symbole im Freskenzyklus des Laurentius als Öllampen. Dass der Kirchenpatron mit einem Kelch in der Hand abgebildet wird, verweist laut Pater Rinaldo schlicht auf seine Tätigkeit als Diakon: Mit dem Armendienst war er auch für die Krankenkommunion zuständig. Der Pokal mit den Blutstropfen – Hauptfingerzeig für Barbagallo - findet sich in einem Zwickel des Bodendekors; über den Rand wölbt sich ein Halbrund von grünen, roten und weißen Mosaiksteinen. „Eine Fruchtschale“, meint der Ordensmann.
Schlagworte
Indigniert ist man im Kloster auch darüber, dass sich der Forscher während seiner angeblich mehrjährigen Untersuchungen nie offiziell vorstellte. Barbagallo erklärt, er habe erst seine Beobachtungen sammeln und die Kapuziner nicht verfrüht einbinden wollen. Für Cordovani indessen folgt die Gralssuche der gleichen Sensationslust wie die Vermarktung des Judas-Evangeliums oder anderer apokrypher Traditionen. Kurz: keine wissenschaftliche Recherche.
Barbagallo möchte nun die Ciriaca-Katakombe erneut archäologisch untersuchen lassen, um seine These zu überprüfen. Noch in der Karwoche wolle er bei der Diözese Rom einen entsprechenden Antrag stellen. Dass er damit durchkommt, hält Cordovani für ausgeschlossen. Ohnehin wäre in diesem Fall die Päpstliche Akademie für sakrale Archäologie zuständig. Aber auch ein Nein des Vatikan wird die neue Frage nach dem Gral wohl kaum beenden.

Fonte - Welt Online, 2 Aprile 2007

Benedetto XVI ha usato il Graal

Papa Ratzinger ha celebrato la messa utilizzando il Sacro Graal. Quello che si ritiene essere il calice usato da Gesù nell'Ultima Cena, e conservato nella cattedrale di Valencia da tempo immemorabile, è stato utilizzato da Benedetto XVI durante il rito conclusivo del quinto incontro mondiale delle famiglie.

Giovanni Paolo II, quando andò in Spagna, lo tenne con venerazione tra le proprie mani e lo baciò due volte. Ieri, non appena arrivato in Spagna, Benedetto XVI ha sostato alcuni minuti nella cattedrale meditando davanti alla reliquia. Secondo uno studio scientifico la coppa risalirebbe ad un periodo fra il Secondo e il Primo secolo a.C.

Le peregrinazioni del Graal furono infinite. Portato, secondo la leggenda,a Roma da S.Pietro, fu adoperato l'ultima volta da papa Sisto II decapitato nel 258 d.C. Il suo diacono, San Lorenzo, originario della Spagna, prima di essere anche egli martirizzato affidò la coppa a due legionari cristiani che stavano tornando in patria, pregandoli di consegnarla ai suoi genitori.

Da lì, diversi secoli dopo, l'invasione araba costrinse la reliquia a migrare ancora,fino a San Juan de la Pena, un monastero incassato fra i Pirenei e identificato come Montsalvat, la montagna dove sorgeva il Castello del Graal della tradizione raccontata da Wolfram von Eschenbach nel XII secolo e che più tardi ispirò il Parsifal di Wagner.

Nel 1399 il calice fu reclamato dal re d'Aragona Martin el Humano che lo portò a Saragozza. E la lettera del sovrano che chiede la consegna del Graal è, dopo un inventario del monastero che risale al 1134, il secondo documento esistente sulla reliquia di Valencia, dove giunse grazie a re Alfonso V nel 1437.

Fonte - Il Tricolore, 2006

martedì 9 ottobre 2007

Coordinate per la fotolocazione

Per poter vedere la Cattedrale di Valencia dallo spazio indichiamo le seguenti coordinate :

Il piacere di sorvolare la zona e vedere con gli occhi del cielo un luogo incredibile.

Il Santo Calice a Fivizzano?

Una curiosa rappresentazione del Santo Calice osservata a Monte de' Bianchi (Fivizzano). La rassomiglianza, curiosa ma non significativa di un collegamento con la reliquia valenciana, è forte e mettiamo a disposizione dei nostri lettori una sua immagine.




lunedì 8 ottobre 2007

La Cappella del Santo Calice



Il Santo Calice è custodito dal 1916 nella Cappella omonima, nella Cattedrale di Valencia, che era l'antica aula capitolare.Come sempre,non ci soffermeremo a descriverla completamente,perchè chiunque potrà trovare notizie se lo volesse e se ne sentisse motivato.Ci limiteremo a fornire quelle particolari 'note' che hanno catturato la nostra attenzione.Lo scopo principale della Cappella era di servire come Cattedra di Teologia e come cripta dei prelati e dei canonici.

Successivamente,cessando queste funzioni,si dedicò una Cappella al Cristo della Buona Morte.

La Cappella, in stile gotico fiorito, è bellissima e risente dei suoi secoli, delle sue vicissitudini.Fu realizzata tra il 1365-'69 dal vescovo Vidal de Blanes, sepolto nell'antistante corridoio. In essa si celebrarono processi del Regno e si diedero lezioni di teologia.E' a pianta quadrata(13 metri di lato) ed è alta 16 metri.Le sue pareti sono lisce, di pietra lavorata.La parte che ovviamente colpisce subito è l'urna dov'è custodito il Santo Calice, al centro in un retablo di alabastro che costituiva la parte posteriore del Coro della Cattedrale (XV secolo), dato che questa cappella non subì danni durante la riforma neoclassica del XVIII secolo.
L'opera scultorea è divisa in scene inferiori (Antico Testamento)e superiori (Nuovo Testamento) e vi spiccano le figure dei Dodici Apostoli realizzate dal fiorentino Giuliano Poggibonsi, allievo di Ghiberti, colui che realizzò la Porta del Paradiso a Firenze (battistero).La Cappella è coperta da una volta a crociera nervata a forma di stella, le cui nervature si prolungano fino ad adagiarsi su alcune mensole policrome.
L'opera scultorea è divisa in scene inferiori (Antico Testamento)e superiori (Nuovo Testamento) e vi spiccano le figure dei Dodici Apostoli realizzate dal fiorentino Giuliano Poggibonsi, allievo di Ghiberti, colui che realizzò la Porta del Paradiso a Firenze (battistero).La Cappella è coperta da una volta a crociera nervata a forma di stella, le cui nervature si prolungano fino ad adagiarsi su alcune mensole policrome.
Nelle chiavi di volta sono presenti i Dodici Apostoli e, nella chiave centrale, l'Incoronazione della Vergine dopo l'Assunzione, mistero peculiare di questa Cattedrale.Un altro artista italiano ha lavorato al dipinto dell'Adorazione dei Re Magi (1427) e su un'altra parete spiccano le catene che chiudevano il porto di Marsiglia e che furono portate dal re Alfonso il Magnanimo nel XV secolo,quando espugnò la città.C'è anche lo strumento usato per romperle.Quando il re fece dono del Santo Calice a questa Cattedrale il 18 marzo 1437,consegnò anche altre varie reliquie e in segno di devozione alla Coppa che gli aveva portato 'fortuna', anche i 'trofei' della vittoria. Una scritta color vermiglio spicca vivacemente sulla parete,sotto le catene,che nell'immagine sopra si vede integralmente. Lungo le pareti si trovano antichi sedili in pietra anche consunta(questo locale era la sala Capitolare dei monaci),e il pavimento è molto rovinato, ma così mantiene il suo fascino arcano e la bellezza del suo passato.In due punti, al lato destro e sinistro del 'retablo', si può incontrare una pietra che reca due curiosi 'ovali': si dice che siano le impronte delle ginocchia dei pellegrini...La pietra ha però un colore diverso dal resto delle mattonelle e l'ovale sembra 'ritagliato' nel suo contorno, chissà di cosa si tratta veramente...

Il corridoio

Appena entrati nella Cattedrale, a destra si troverà un cartello che indica la Cappella del Santo Calice e un breve corridoio di accesso, realizzato nel 1496 da Pere Compte per collegare l'aula antica con il resto dell'edificio. L'accesso alla Cappella del Graal è possibile anche da un'altra entrata, interna sempre alla cattedrale, passando per il Museo cattedralizio, come da schema planimetrico. La porta è in stile gotico, lavorata dallo stesso architetto che ha realizzato il corridoio, Pere Compte. Il corridoio merita di essere osservato qualche istante:a sinistra si trova, in particolare, il sepolcro del vescovo Vidal de Blanes,che fu il costruttore della sala capitolare, oggi Cappella del Graal. Alzando lo sguardo al soffitto, si noterà una volta assai strana, costituita da otto medaglioni con altrettanti motivi simbolici,convergenti verso quello centrale, vuoto; il tutto 'raccordato' da costolonature ai quattro angoli del locale, che è molto buio ed è particolarmente arduo anche fare delle foto discrete. Le pareti del corridoio riportano molti segni graffiti, forse 'ricordi' lasciati dai visitatori che si sono succeduti nel corso del tempo.











































Tratto da
Due Passi nel Mistero

mercoledì 3 ottobre 2007

All'inseguimento del Santo Graal di Valencia

Avventura esoterica sulle tracce della più sacra e inafferrabile reliquia della cristianità. Un tesoro ben nascosto nelle valli più impervie dell'Aragona
A cura di Marilena Malinverni


Duemila anni dietro una scodella. Duemila anni che cavalcano. Duemila anni che lo cercano. Da Perceval a Indiana Jones non si è mai perso il gusto della caccia spietata alla più sacra e inafferrabile delle reliquie cristiane. Tutto ha inizio con l'Ultima Cena, quando Cristo spezza il pane e fa girare il boccale del vino benedetto tra i suoi dodici commensali; quando Giuseppe d'Arimatea raccoglie il sangue del costato del Nazareno in una coppa.
Due recipienti che le leggende gnostiche fondono in un solo calice: il Santo Graal. Che Chretién de Troyes e gli altri romanzieri del ciclo arturiano trasformano in mito e oggetto taumaturgico: basta contemplarlo per essere guariti da tutti i mali, liberati da tutte le angosce, sfamati e dissetati. Il che, coi tempi che corrono, è sempre meglio di niente. Perciò non è mai cessata la ricerca.Tutti lo vogliono e molti, dall'Etiopia a Manhattan, sostengono di possederlo. Ma lo tengono nascosto. Per avere sfruttato i suoi poteri magici, i Templari vennero spazzati via da Filippo IV e da papa Clemente V, nel 1312. Con il tempo, la giostra della caccia al sacro vaso è diventata uno sport di massa fatto di avvistamenti, passaggi di mano, occultamenti, linguaggi esoterici. E ora "todos caballeros de la Tabla Redonda": lo spagnolo è di rigore dato che una certa porzione di penisola iberica si proclama custode unica del supremo feticcio e teatro delle sue peripezie. Ultimi discendenti di una plurisecolare schiera di sorveglianti, oggi a Valencia gli fanno buona guardia i pensionati della Confradia del Santo Caliz, armati di gonfalone e solide convinzioni. Per loro, il Graal legittimo è quello esposto nella cattedrale cittadina, lo stesso da cui ha bevuto nel 1982 papa Giovanni Paolo II durante l'eucarestia, facendo attenzione a non avvicinare le labbra alla piccola sbrecciatura sull'orlo: nel XVIII secolo scivolò dalle mani di un canonico mentre lo portava in processione per le vie della città. Era da 1734 anni che non veniva toccato dalle mani di un papa, da quel 258 in cui Sisto II lo affidò al diacono Lorenzo insieme con altri tesori, perché li mettesse in salvo dal furore persecutorio dell'imperatore Valeriano. Il prezioso oggetto che balugina in una nicchia della buia cappella gotica si compone di tre parti distinte: il piedistallo e i manici sono del tardo Medievo, mentre la coppa, lavorata in una varietà di calcedonio o agata detta cornalina, di fattura romana o ellenistica, risale alla fine dell'età precristiana. I conti tornano, gli archeologi non trovano nulla da obiettare su origini e datazione. I confratelli non sono tanto sprovveduti da credere che sia sempre stato lì. "È qui dal 1437, quando Alfonso il Magnanimo lo donò al capitolo della cattedrale", spiega Ignacio Carrau, presidente del devoto sodalizio."Nei secoli precedenti era stato nascosto tra le montagne per sottrarlo ai saraceni, poi ad Alicante e Palma de Mallorca". È scampato alle razzie napoleoniche nel 1809 e agli appetiti dei comunisti durante la guerra civile. Per dieci pesetas, in un bugigattolo della cattedrale, vendono una stampa del calice con la sintesi delle sue più recenti traversie: "Salvato dall'irruzione marxista nel 1936, traslato a Carlet nel 1937, restituito alla cattedrale nel 1939". Ma è tra i monti, non menzionati dal confratello per spirito campanilistico, che restano le tracce più evidenti e meno ideologiche del suo passaggio. Nella scoscesa Aragona, terra ostica di pievi arroccate, monasteri perduti, greggi bucoliche e sterminati silenzi. Nella parte più montuosa della regione, che dalla valle dell'Ebro si arrampica fin sui Pirenei, abbondano i ricordi e i culti dei protomartiri e delle vergini decollate. Per le impervie balze aragonesi transitavano i pellegrini diretti a Santiago de Compostela, lesti a scorgere ovunque tracce di prodigi. Un paesaggio fumigante di nebbie, che Dio deve aver fatto d'autunno, in un momento di malinconia. Huesca, la romana Osca, e i suoi dintorni sono stati per secoli ricettacolo della coppa che scottava come una brace sotto la cenere. Protetta da un'omertà qualche volta pagata con la vita. Il 25 giugno, la ragazza più bella del paese sfila in corteo per la vie di Huesca con indosso vesti damascate e gioielli: interpreta la parte di Orosia, la vergine che preferì il martirio allo stupro musulmano. Il cranio della santa, placcato d'argento dorato, dipinto e sormontato da una corona alta come un panettone, sfolgora in una teca di vetro della chiesa di Yebra de Basa. E tra il 9 e il 15 agosto, con contorno di processioni e corride, tutti a festeggiare Lorenzo, il salvatore del Graal. Il diacono, dopo aver preso il sacro calice in consegna dal pontefice, lo aveva affidato a un soldato romano delle sue parti: in campagna avrebbe dato meno nell'occhio. E così la reliquia peregrinò tra Huesca, Jaca, Yebra de Basa, San Pedro de Siresa... Di tutti i ripari, il più sicuro fu certo il monastero di San Juan de la Peña, cenobio ficcato nelle fauci di un faraglione roccioso del monte Pano. Una sorta di Lhasa iberica con vista sulle cime più alte dei Pirenei, dove gli sciatori della domenica hanno ormai soppiantato i pii romei. Sorto nel IX secolo, San Juan è stato il primo convento a introdurre la messa secondo la liturgia romana in Spagna; nel suo pantheon sono sepolti i primi re aragonesi. A Huesca, nella chiesa di San Pedro el Viejo, Maria e suo figlio José Maria, labbra tirate e aria guardinga, hanno la faccia immusonita di quelli che considerano un fatto personale la rimozione del Calice dalla "loro" iglesia. Poi si rilassano, illustrano allo straniero il romanico maturo della chiesa e gli fanno fare il giro dell'ombroso chiostro. Di segni inquietanti è disseminato tutto questo territorio. A San Juan de la Peña, un vecchietto ti fa notare la somiglianza dei suoi occhi grandi e gonfi con quelli del Cristo e degli apostoli graffiti sui capitelli delle colonne. A Santa Cruz de la Seros, i camini delle case continuano a rifinirli con le espantabrujas, le spaventastreghe, decorazioni esoteriche che hanno lo scopo di tener lontani gli spiriti malvagi. Ne hanno incendiate parecchie qui, di streghe, per vederci meglio nei tempi bui del Medioevo. Jaca è rivale di Huesca per tante ragioni, ma soprattutto per la custodia del disputato Calice. Pare che la cattedrale sia stata eretta proprio a questo scopo. Erano tempi di cupidigia e di caudillos rapaci, come l'avido Childeberto, re merovingio di Parigi, insaziabile collezionista di coppe liturgiche, che nelle sue incursioni al di qua dei Pirenei si era appropriato di ben sessanta pissidi. Il dedalo di viuzze al cui centro s'innalza l'enigmatico edificio religioso serviva a disorientare i malintenzionati e ad appiedare i cavalieri ostili. Essa stessa tesoro architettonico, la cattedrale custodisce il resto del corpo di Santa Orosia, patrona della città. Chi dice che la ragazza fosse una principessa di Boemia, chi d'Aquitania, chi di Cordova. Ma qui i cavilli degli storici non interessano più di tanto. Nel bel mezzo di questo cammino mistico e iniziatico è semmai più utile sapere che la povera decapitata è tenuta in conto di efficace antidoto per spossessare gli indemoniati. Non tutte le reliquie hanno il privilegio di essere protette da casseforti tanto impegnative. Oltre al teschio di Orosia, l'instancabile Mosen Domingo Dueso, parroco più che sessantenne di sette villaggi disseminati tra le balze aragonesi, conserva nella chiesa parrocchiale di Yebra de Basa il piede carbonizzato di San Lorenzo: lo salvò dal falò lo stesso soldato suo compaesano che aveva messo al sicuro il Graal. Anonimo eroe conosciuto come Recaredo, anacronistico nome d'origine visigota, forse saltato fuori da un bisticcio con il termine spagnolo recadero, che vuol dire messaggero, corriere. Devono essere stati un certo numero, nei secoli di gestazione del cristianesimo e delle sue leggende, gli inviati che si sono spinti fin quassù come venditori ambulanti a smerciare reliquie di una fede importata da lontano. A convertire le rurali plebi pagane con discutibili trovate da imbonitori di paese. Basta tenersi sui contrafforti dei Pirenei o battere altre remote regioni iberiche per imbattersi nei frequenti relitti materiali di un'evangelizzazione di bocca buona. Nelle fuligginose Asturie, patria di minatori rossi e tenaci, la cattedrale di Oviedo vanta un'arca di bigiotteria mistica senza eguali, la portentosa "Camara Santa". Lì puoi trovare schegge della Croce e brandelli del Sudario, il resto dei Trenta denari di Giuda, briciole dei pani moltiplicati da Cristo, qualche ciocca della capigliatura della Maddalena, il sandalo destro di San Pietro, un pezzetto della bacchetta con cui Mosé separò le acque del Mar Rosso e molto altro ancora. Sarebbe ingenuo sorridere di tanta ingenuità. I capolavori che avvolgono duemila anni di reliquie ci hanno più che ripagato degli inevitabili danni e delle sicure beffe. Gli studiosi del Santo Graal e i suoi moderni romanzieri, Jean Markale in testa, assicurano che il Calice sia stato intagliato in uno smeraldo ritrovato da Adamo ed Eva nel Paradiso Terrestre, tra fiori che non appassivano mai e sotto alberi che davano frutti tutto l'anno. Si era staccato dalla fronte di Lucifero, il portatore della luce, l'arcangelo ribelle, mentre precipitava agli Inferi. Paradiso e inferno, lande su cui è arduo costruire un itinerario di viaggio. La battaglia di luce e tenebre in questa scabra terra di confine che è l'Aragona qualche volta mette addosso brividi, non sempre provocati al freddo.

La mitica coppa- Per Valencia: voli quotidiani di Iberia e Alitalia da Milano Malpensa, via Barcellona: tariffe a partire da 550 mila lire (validità sette giorni). Per raggiungere direttamente l'Aragona, gli aeroporti strategici sono quelli di Saragozza e Pamplona: biglietto a partire da 399 mila lire, validità massima 14 giorni, compreso un weekend.-Il noleggio di un'auto di categoria A (media cilindrata, tipo Opel Corsa) costa circa 90 mila lire al giorno. (Inf: Squirrel, tel. 02.584.300.11). - Per dormire: il Parador de Bielsa, nel Parco Nazionale di Ordesa, è un confortevole rifugio tutto in legno, con ottimo ristorante al suo interno (camera doppia, 123 mila lire). Un'alternativa è il Parador de Alcañiz, un castello-convento del XII-XIII secolo (camera doppia, 129 mila lire). In Italia sono rappresentati da Alpitour.
Per informazioni e prenotazioni: tel. 0171.3131. - Per altre informazioni: Ufficio spagnolo del turismo, via Broletto 30, 20121 Milano tel. 02.720.046.17, fax 02.720.043.18.

Fonte - D La Repubblica delle Donne, 21 Dicembre 1999

martedì 2 ottobre 2007

Il Santo Calice in un dipinto del 1570 di Juan de Juanes

Cristo durante l'Ultima Cena e il Graal rappresentati da Juan de Juanes (1570).

L'Ultima Cena (1550) di Juan de Juanes, Museo del Prado

Benedicto XVI usó un cáliz cargado de simbolismo

EL PAPA EN ESPAÑA : LA MISA EN VALENCIA -Para la Iglesia Católica es el Santo Grial, la copa de Jesús en la Ultima Cena.



ICONO. El Santo Grial de Jesús.





VALENCIA. ENVIADO ESPECIAL - El papa Benedicto XVI utilizó ayer en la consagración de la misa campal que celebró al concluir su visita a Valencia el legendario ícono sacro del Santo Grial, que los anglosajones llaman Santo Graal, la copa con que Jesucristo ofreció a los discípulos en la Ultima Cena que bebieran el vino que contenía como su propia sangre.Existe una leyenda anglosajona que atribuye propiedades mágicas al Santo Graal y cuyo debate ha sido reactualizado por el libro El Código Da Vinci de Dan Brown, que ha vendido más de 70 millones de ejemplares. Para los católicos no hay dudas: el "glorioso cáliz" que Cristo tomó "en sus santas y venerables manos" y lo dio a sus discípulos entre bendiciones, es custodiado desde hace siglos en la catedral de Valencia tras haber atravesado muchas peripecias. Ayer, el Santo Grial fue llevado entre extraordinarias medidas de seguridad hasta la Ciudad de las Artes y las Ciencias y controlado estrictamente hasta que finalizó la misa y fue devuelto a la capilla de la Catedral donde es conservado.Los altos prelados de la catedral valenciana recordaron que el ícono sacro fue utilizado en 1982 por el papa Juan Pablo II cuando visitó la ciudad, en una ceremonia de ordenación de 141 sacerdotes locales.El vaso de piedra fue construido en el siglo I antes de Cristo y está protegido por otro vaso más grande y una tercera parte que es una montura de orfebrería.La tradición sostiene que el Santo Cáliz de la Ultima Cena fue llevado a Roma por San Pedro y utilizado por 23 Papas. El papa Sixto II, antes de ser decapitado en el año 258 durante la persecución a los cristianos, lo confió a su diácono San Lorenzo, de origen español, quien también antes de ser martirizado lo confió a dos legionarios cristianos.Una de las más importantes reliquias del cristianismo fue llevada a un monasterio en los Pirineos, en la montaña donde surgía el Castillo del Graal, donde nacieron las leyendas anglosajona y germana sobre la copa. En 1399 el Santo Grial fue reclamado por el rey de Aragón, Martín "El Humano", quien lo llevó a Zaragoza. Alfonso V, por fin, lo donó a la catedral de Valencia en 1437, donde desde entonces está custodiado en la catedral.

Fonte - El Mundo, 10.07.2006

At Mass in Valencia, pope uses what tradition says is Holy Grail

Altro articolo in inglese pubblicato in occasione della visita a Valencia di Papa Benedetto XVI.
E.B.


VALENCIA-GRAIL Jul-10-2006 (600 words) With photos. xxxi


At Mass in Valencia, pope uses what tradition says is Holy Grail

By Carol Glatz
Catholic News Service

VALENCIA, Spain (CNS) -- King Arthur and his knights and Indiana Jones looked for it, and most recently Dan Brown's sleuth, Robert Langdon, hunted it down in "The Da Vinci Code."
But these legendary and fictional characters might have saved a lot of trouble in their hunt for the Holy Grail by just going to Valencia.
The host city of Pope Benedict XVI's third pastoral journey abroad July 8-9 is home to what tradition says is the cup Jesus used during the Last Supper.
The custodian of the "Santo Caliz," or Holy Grail, said the age of the stone chalice and documents tracing its history back to 1071 make it "absolutely likely that this beautiful cup was in the hands of the Lord" during the Last Supper.
Msgr. Jaime Sancho Andreu, head of the Valencia Archdiocese's liturgy commission and curator of the Holy Grail, wrote a full-page article in the July 5 edition of the Vatican newspaper, L'Osservatore Romano, describing the chalice, its history and the likelihood of its being authentic, although at least one Vatican art official challenged the notion.
Pope Benedict admired the holy vessel during his July 8 visit to Valencia's cathedral, where the chalice has been kept since 1437, and church officials also gave him a replica as a gift.
The pope used the Grail to consecrate the wine during a July 9 outdoor Mass to close the Fifth World Meeting of Families, just as Pope John Paul II celebrated Mass with the holy chalice during his visit to the city in 1982.
Valencia's sacred chalice is made up of two parts. The polished stone vessel on top is supposed to be the cup of the Last Supper. It is made of dark brown agate and measures 6.5 inches tall and 3.5 inches wide. Archeologists say it dates back to the first century B.C. and is of eastern origin, from Antioch, Turkey, or Alexandria, Egypt.
The part of the chalice that the cup rests upon was made during the medieval period. The chalice's stem and handles are made of fine gold, and its alabaster base is decorated with pearls and other precious gems.
Msgr. Sancho wrote in the Vatican paper that tradition says after Christ instituted the Eucharist at the Last Supper St. Peter took the cup to Rome, where it was protected by successive popes.
The cup then made its way to Spain during the Christian persecutions in Rome by Emperor Valerian in the third century. The grail has a paper trail spanning the 11th-15th centuries that supports its origins, the Spanish monsignor said.
However, Umberto Utro, head of the Vatican Museums' department of early Christian art, told Catholic News Service that Valencia's grail was not the cup used during the Last Supper.
"It's impossible Jesus drank from it; that there were such rich and fine vessels used at the Last Supper was nonsensical," he said, especially since Jesus and most of the apostles came from humble or poor backgrounds.
"He most probably used a cup made from glass like everybody else," he said.
Utro also said preserving relics was not part of the Jewish culture.
The Holy Grail, like most other Christian relics, represents the pilgrims' "pious desire" to have a material or physical connection to one's spiritual roots, he said. Like the Shroud of Turin or Veronica's veil, people do not base their faith in Christ on the existence of such objects, he said, but the relics do help people recall the real past events that make up the Christian faith.

END

The Cup of Christ , una recensione del libro di Hesemann

Una recensione approfondita, seguita da analisi parallele, sul libro di Michael Hesemann (2003) dedicato al Santo Calice di Valenza. Estremamente interessante per gli spunti e le informazioni che fornisce a coloro che studiano tale reliquia.
E.B.


The Cup of Christ
Author:
Michael Hesemann

When Pope Benedict XVI visits Valencia, Spain, in July, he will see one of the most sacred relics of the Christian world: the Santo Caliz, the Holy Chalice, which inspired the myth of the Holy Grail. For more than 500 years the Cathedral of Valencia has been in possession of an agate cup, venerated as the vessel with which Christ initiated the Blessed Sacrament during the Last Supper; a claim which, according to some eminent historians, might very well be true.
Inside Valencia's splendid cathedral, a charming mixture of Gothic and Baroque elements, one can easily find the illuminated shrine on the High Altar where, behind bullet-proof glass, stands a small chalice of nearly translucent agate: the Santo Caliz, the most precious treasure of the "Seu," the "See," as the Cathedral is called in the native Valencian dialect.
Since July 14, 1506, it has been in possession of the canons of the cathedral. Since then, it is taken out of the shrine only twice a year: on Holy Thursday at Easter time and on the "Feast of the Santo Caliz" on the last Thursday in October, when it is carried in a solemn procession to the main altar of the cathedral, where the archbishop of Valencia, today Msgr. Agustin Garcia-Gasco, celebrates Holy Mass in the presence of this precious relic, guarded by the prestigious "Brotherhood of the Knights of the Holy Chalice," headed by the Count of Villafranqueza, a cousin of Spain's King Juan Carlos, and Don Ignacio Carrau, a commander of the Papal Order of St. Gregory the Great and former governor of the province of Valencia.
In its present form, the "Santo Caliz" consists of three parts: a small agate cup, a reversed onyx bowl used as its foot, and a two-handled middle-piece of gold. The onyx bowl is fixed by four gold-bows, set with 27 pea-sized pearls, two rubies and two emeralds. The agate cup is the original relic. In a document of the year 1135, the "chalice of precious stone and a dish of similarly precious stone" are still listed as two separate items. In that year, King Ramiro II of Aragon commissioned his goldsmiths to set them into a single object which corresponded much more with the mediaeval idea of a chalice.
But already in its earliest document, dating from 1134, the stone cup was described as "the chalice in which Christ, Our Lord, consecrated His blood." The same document states that this chalice once "was sent by St. Lawrence to his father's town Huesca."

History of the Chalice

According to Spanish tradition, the chalice of the Last Supper was originally brought to Rome by St. Peter. For two centuries, only the Popes were allowed to celebrate Holy Mass with it, and it is possible that the special Eucharistic prayer of the Roman Canon reflects this, when it says ". . . accipiens et hunt praeclarum calicem" — which, literally, means: "He, taking this very cup." So these words may originally have had both a symbolic and also a very definite meaning.
Probably St. Lawrence was indeed a Spaniard; near Huesca in the north of Spain, an estate named "Loreto" is still venerated as the place of his birth and residence of his parents. Already in the 4th century, the Spanish Christian poet Prudentius mentioned St. Lawrence in his hymn on the Spanish martyrs, which seems to confirm the tradition. Certain it is, according to a contemporary letter of Cyprian, bishop of Carthage, that during the "Valerian persecution" of the year 258, when first Pope Sixtus II and four of his deacons and, three days later, St. Lawrence received martyrdom, Church treasures were confiscated by the Roman emperor. Therefore it would make sense that a responsible deacon, as St. Lawrence certainly was, would have made sure that such a precious relic as the agate chalice would have been sent to a safe place, far away from Rome. His parents' estate in Huesca was at least a plausible possibility.
With certainty it can be said that the agate cup has been venerated as a relic in the monastery of San Juan de la Pena north of Huesca since the 1100s. According to the Spanish tradition, in 712 AD, when the Muslim Moors invaded the Iberian peninsula, the chalice was hidden in the Aragonian highlands, one of the centers of the Christian resistance. For nearly a century it was hidden in a cave sanctuary, before it was moved to the changing royal sees, eventually to the cathedral of the new, provisory capital, Jaca, and from there to the monastery of San Juan de la Pena, which stood directly under the Pope's control. In 1399, King Martin I, at the insistence of the Spanish anti-Pope Pedro de Luna (alias Benedict XIII), ordered its transfer to the palace chapel of his residence in Zaragoza, then to Barcelona, and finally, in 1437, to Valencia. There it was kept originally in the royal palace, before it was transferred to the cathedral and entrusted to its canons.
It seems that the veneration and history of the Santo Caliz is the true core of the myth of the "Holy Grail" which in 1180 inspired the French poet Chretien de Troyes to write his Perceval, in 1205 the German Wolfram von Eschenbach to write his Parzival and the composer Richard Wagner to compose his opera Parsifal, first performed on stage in 1882.
"Grail" is an old Spanish word, meaning "mortar-shaped drinking vessel," which certainly fits for the Santo Caliz in its original (cup) shape. Wolfram von Eschenbach described the grail also as a "stone"; the Valencian cup is made out of a semi-precious stone, agate. Furthermore, he mentioned a mysterious inscription ("an epitaph") on the surface of the stone grail, which reveals "its name and its nature." Indeed the Santo Caliz bears an inscription on the surface of its stone foot in kufic (old Arabic) writing, reading "Allabsit as-sillis."

Also the Grail's Castle Monsalvaesche, as described by Chretien and Wolfram, corresponds in all details of its topographical situation and architectural layout with the fortified monastery of San Juan de la Pena. Indeed, the monastery is situated at the foot of the Mons Salvatoris, a 4,641 foot high mountain. Anfortas, the Grail king, might have been the historical King Alfonso I of Aragon (1104-1134), called "Anforts" in the Occitanian language of his kingdom, or, Latinized, "Anfortius." Like Anfortas, the Grail king, King Alfonso / Anforts used to spend Lent in San Juan de la Pena, where, as documents prove, the Santo Caliz was venerated during that time. He was an important supporter of the Knights Templar and, in his testament, left them a third of his kingdom, which may explain why the knights guarding the Holy Grail are called "Templeises" in Wolfram's Parzival. Like the Anfortas of the myth, the historical Alfonso / Anforts was mortally wounded in a battle before he was brought to San Juan de la Pena, where he died seven weeks later, though in popular belief he, like King Arthur, never died and was expected one day to return. This caused the myth of the ailing King Anfortas, who, guarded by the Templeises / Templars, awaited salvation in the presence of the Grail. The historical "Parzival," hero of the first Grail epics, could have been the cousin and companion of the king, the French count Rotrou Perche de Val (Spanish: "Conde de Valperche").
Wolfram leaves no doubts that the myth of the Holy Grail indeed had its origin in Spain. According to his Parzival, the French troubadour Guiot de Provins brought the story from Toledo. Indeed, Guiot did visit the court of King Alfonso II of Aragon to play and sing at his wedding in 1174. At that time, the king was preparing a new campaign against the Moors. His grandfather, Alfonso I / Anforts, for his campaign against the Moors, had once received all the privileges and indulgences of a Crusade from Pope Paschalis II (1099-1118). Alfonso II also hoped for the blessing of the Pope and to win the best European knights to fight on his side. To attract them, he needed a new myth. Those who went on a crusade to Jerusalem fought for the Holy Sepulchre. The message of the Grail-myth was: even more honorable than going on a crusade for the liberation of the empty tomb would be to serve the Holy Grail, the symbol of the Holy Eucharist, in which Christ is alive and among us. Therefore, Guiot combined the history of the Holy Grail with the Arthurian legends: the Knights of the Round Table were the great role models of the mediaeval knights, and Europe's princes were expected to follow their example and recognize the Grail as the highest good imaginable.
Although the Grail myth developed its own dynamics and became a popular and inspiring literary motif over the years, its message remained the same: it became the symbol of man's eternal quest for God and therefore a metaphor for the highest ideals and aspirations of Christian Europe. To search for the Holy Grail means to get to the bottom of the mystery of the Holy Eucharist. When the Grail promises eternal life, the Blessed Sacrament fulfills the promise of Christ: "Whoso eateth my flesh, and drinketh my blood, hath eternal life." (John 6:54)

The Chalice of Christ?

Although it seems certain that the myth of the Holy Grail originates in the veneration of the Santo Caliz during the 12th century, the question whether it indeed is the chalice used by Jesus Christ during the Last Supper has to remain open.
The stone cup is, according to leading archaeologists like the Spanish professor Antonio Beltran, a typical drinking vessel of the Hellenistic era (3rd-1st century BC), most probably created in the workshops of Antioch, Syria.
The British Museum in London exhibits two similar cups of chalcedon and sardonyx from the Roman period, dated 1-50 AD, as Janice Bennett shows in her book St. Laurence & the Holy Grail (2002). Goods from Antioch, the capital of the Seleucid Empire, were popular in Jerusalem.
For the seder meal on Pesach (Passover), traditional Jews preferred stone vessels, since only stone was considered "kosher" or ritually pure. Clay was too porous and could contain impurities, while silver might have been used before for coins with the images of pagan deities and therefore was considered impure, too.
Of course, an agate cup was a very precious vessel. But nothing indicates that Our Lord actually owned the chalice He used during the Last Supper. Instead, there are several indications (as the renowned Benedictine archaeologist Father Bargil Pixner has pointed out) that the Last Supper took place in the guest house of the Essene community. The earliest Christian tradition located the "Upper Room" on Mount Zion which was, according to the Jewish historian Flavius Josephus, the Essene Quarter.
When in the rest of Jerusalem the passover meal took place on the eve of the Sabbath (as St. John reports in 18:28: the Jewish priests "went not into the Judgement Hall, lest they should be defiled; but that they might eat the passover"), the Essenes followed a slightly different calendar according to which the "first day of the unleavened breads" was already the Wednesday before. If the Last Supper was indeed a passover meal, it could have taken place on the traditional date, Holy Thursday, only in the Essene Quarter and in no other part of Jerusalem. From the Dead Sea Scrolls, found in the caves of Qirbet Qumran, we know that already the Essenes, in expectation of the Messiah, celebrated a "Meal of the Covenant." We can assume that they used precious vessels for this purpose.
When we read in the Acts of the Apostles, that the Twelve returned to the "Upper Room" on Pentecost (Acts 1:13; 2:1), this demonstrates a close contact to the Essene community and makes it possible that the chalice was indeed entrusted to St. Peter, the Prince of the Apostles.
Therefore, although it cannot be proven that the Santo Caliz is indeed the Chalice of the Last Supper, nothing excludes this tradition. Maybe it can be said here, too: "In dubio pro traditio" ("when a matter is in doubt, side with the tradition").
Indeed it is difficult to think that the chalice with which the most holy sacrament was instituted as the meal of the New Covenant, simply got lost.
Also, no other vessel can make any legitimate claim. The "Sacro Catino" of Genoa, which was found during the conquest of Caesarea in 1102, is an Arabic glass work of the 9th century. Originally it was thought to be of emerald and believed to be a gift of the Queen of Sheba to King Solomon, so in the 13th century Jacobus de Voragine, bishop of Genoa and author of the Legenda Aurea, speculated it might have been the Holy Grail.
Since only the Santo Caliz has a venerable, ancient and at the same time plausible tradition, its claim to be Christ's actual chalice seems a legitimate one.

John Paul II and the Santo Caliz

When Pope John Paul II visited Valencia on November 8, 1982, he was shown the Santo Caliz and its history was explained. Carefully the Holy Father touched the golden pedestal of the relic, bowing down and kissing it as a sign of veneration. Then he asked to use it for the great Pontifical Mass to take place in the largest square of Valencia; gladly the canons fulfilled his wish. So it happened that, for the first time in 1,724 years, a successor of St. Peter spoke the Eucharistic Prayer over the most holy chalice.
A visit of Pope Benedict XVI to the Cathedral of Valencia during his stay in July is already scheduled, and the experts are ready to explain the history of the precious relic to the 265th successor of St. Peter. We will see if he will venerate it with the same devotion as his great predecessor did. But it seems like a good omen that Benedict was elected Pope during the Year of the Eucharist.
Michael Hesemann, a German author and historian, has written several books on Christian relics. Urbi et Orbi Communications, Inc., New Hope, KY, March 2006.