lunedì 22 ottobre 2007


Alcune informazioni turistiche per recarsi nei luoghi del Sacro Calice di Valencia, :

  • Oficina de Turismo de Huesca
    Plaza de la Catedral, 1. Teléf.: 974 29 21 70
  • Oficina de Turismo de Jaca
    Teléf.: 974 36 00 98
  • Ayuntamiento de Borau
    Teléf.: 974 36 45 38
  • Ayuntamiento de Santa Cruz de la Serós
    Teléf.: 974 36 19 74
  • Monasterio de San Juan de la Peña
    Teléf.: 974 35 51 19 / 974 35 51 45
  • Catedral de Jaca: Horario de 11 a 13.30 y de 16 a 20 horas.

mercoledì 17 ottobre 2007

Festa annuale del Santo Calice

Il prossimo 25 ottobre si svolgerà presso la Cattedrale di Valencia la festa annuale del Santo Calice.

Riproponiamo il programma della manifestazione così come presente nel sito della diocesi valenciana:

19:30
Messa solenne officiata dall'Arcivescovo
Canta il Coro della Catedrale

Il Santo Cáliz viene portato in processione dalla Cappella in cui è custodito all'altare maggiore della Cattedrale.
Dopo l'omelia l'Arcivescovo benedice alcune replice del Santo Cáliz che regala alle parrocchie che sono state ricostruire o restaurate negli ultimi tempi. Finalmente, il Vaso sacnto è tolto dalla Cappella e accompagnado in processione dalla Juntas Directivas de la Real Hermandad e dalla Cofradía del Santo Cáliz.

lunedì 15 ottobre 2007

En Lourdes ya conocen más y mejor al Santo Cáliz de la Última Cena y a la Virgen de los Desamparados

Un interessante articolo che ci parla di una recente iniziativa occorsa al Santuario mariano di Lourdes dove sono stati presentati due libri uno dei quali dedicato al Santo Calice di Valencia. Un momento estremamente importante e di notevole valore culturale.


E. Baccarini

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Dos libros del Santo Caliz y otro del Santo Rosario que contiene las pinturas de la Basilica de la Virgen de los Desamparados se encuentran desde el pasado sábado en Lourdes

(Desde El Canyamelar (Valencia) José Ángel CRESPO FLOR).-
Dos libros del Santo Cáliz de la Última Cena del Señor que se venera en la Santa Iglesia Catedral de Valencia (El Santo Cáliz de la Cena (Santo Grial) venerado en la Catedral de Valencia) y (El Santo Grial y el Tercer Milenio de la Era Cristiana) se encuentran junto al de "El Rosario de la Virgen María" en el Santuario de Lourdes. La razón de esta donación hay que buscarla en el interés que mostró quien redacta esta crónica en aquellas tres publicaciones estuviesen desde ahora y para siempre en un santuario que lo visitan anualmente millones y millones de peregrinos, Dicho y hecho.

A partir de ahora los estudiosos que se encuentren en esta localidad francesa ya pueden ampliar sus conocimientos acerca de esta gran realidad de la que puede presumir la ciudad de Valencia: el Santo Cáliz de la Última Cena del Señor junto a un libro que habla de la devoción del Santo Rosario y de una advocación mariana que, sobre todo para los valencianos, lo es todo: Nuestra Señora de los Desamparados.

LA DEDICATORIA DE D. JUAN BAUTISTA ANTÓN (RECTOR DE LA BASÍLICA)
"En comunión con la fe y la devoción a la Virgen María, nuestra madre, para el Museo de la Virgen de Lourdes, desde el Santuario-Basilica de la Virgen de los Desamparados"

LAS DEDICATORIAS DE D. IGNACIO CARRAU (PTE. DE LA COFRADÍA DEL SANTO CALIZ DE LA ÚLTIMA CENA DEL SEÑOR)
- "Al Museo del Santuario de la Virgen de Lourdes con la devoción a María que hizo posible con su "fiat" que Cristo se hiciese Eucaristía sobre el Santo Cáliz"

- "En mi calidad de Presidente de la Cofradía del Santo Cáliz de la Cena del Señor de la Catedral de Valencia, como testimonio de devoción y gratitud a María, primer sagrario de Cristo en la tierra!"

Fonte - Periodista Latino, 5 Luglio 2007

A Valencia il «Graal» parla arabo


SPAGNA - Il «Santo Càliz» esposto domani per il Papa: una storia altro che Dan Brown...
di Gian Maria Vian

Non molti lo ricorderanno, ma l'8 novembre 1982, nella cattedrale di Valencia, Giovanni Paolo II procedette all'ordinazione sacerdotale più numerosa del suo pontificato e celebrò l'eucarestia con il Santo Cáliz, un'antichissima coppa lì custodita e identificata come il calice usato da Gesù nell'ultima cena.

L'oggetto cioè che il greco della prima lettera ai Corinzi (11, 25) e dei Vangeli sinottici denominano potèrion e che dal medioevo è al centro di numerosi e popolari cicli (letterari, artistici, musicali, esoterici) come il Graal. Ma il gesto del Pontefice passò allora quasi inosservato. Domani, trascorso quasi un quarto di secolo, Benedetto XVI incontrerà i vescovi spagnoli e firmerà un messaggio a loro indirizzato proprio nella cappella trecentesca della cattedrale valentina dov'è ora conservato - e domani sarà esposto sull'altare - il «santo calice». E certo, dopo l'astuta speculazione commerciale intorno al modestissimo romanzo di Dan Brown, l'avvenimento colpisce. Proprio come durante la scorsa settimana santa, quando il Papa rievocò con sobria precisione il tradimento di Giuda mentre impazzava la grottesca rivalutazione dell'apostolo traditore sulla base del vangelo gnostico appena pubblicato. Affascinanti e diverse sono le tradizioni sul calice usato da Gesù. E altrettanto diverse sono le identificazioni: oltre il Santo Cáliz di Valencia, tra i più antichi vi è la coppa argentea detta di Antiochia e ora a New York, oggetto di disparate datazioni e probabilmente del VI secolo. Ma nel VII secolo il «calice del Signore» fu visto a Gerusalemme dal vescovo Arculfo e un «sacro catino» è dal XII secolo nella cattedrale di Genova, mentre più o meno negli stessi anni Guglielmo di Malmesbury lo riteneva portato a Glastonbury da Giuseppe d'Arimatea. Per non parlare dei cicli letterari medievali e delle leggende moderne e contemporanee - connesse con i templari e con logge massoniche - che lo collocano tra Francia, Inghilterra e Scozia. Il calice valentino è formato di tre elementi: una piccola coppa di calcedonio (una varietà di quarzo) alta 7 centimetri e larga 9, una base dello stesso materiale un po' più larga e più bassa decorata con oro, perle e pietre preziose, e una doppia ansa d'oro che unisce base e coppa. Quest'ultima è molto antica - è stata datata tra il IV secolo a.C. e il I dell'era cristiana - ed è originaria di Antiochia o di Alessandria, mentre la base è stata lavorata a Córdoba nel secolo X o XI e reca un'iscrizione araba variamente interpretata e tradotta («Per colui che risplende», oppure «il misericordioso», o ancora «gloria a Maria»), e l'impugnatura appare un prodotto carolingio. La prima notizia del Santo Cáliz risale al 14 dicembre 1134, quando un canonico di Saragozza attestò in un documento di averlo visto «in un'arca d'avorio» nel monastero pirenaico di San Juan de la Peña, e allo stesso testo risale la spiegazione della sua presenza in Spagna, dove l'avrebbe inviato Lorenzo, il santo diacono martirizzato a Roma il 6 agosto 258 con il vescovo Sisto II e altri tre compagni. Nella capitale dell'impero la piccola coppa sarebbe stata portata da Pietro e tramandata ai suoi successori, fino appunto al 258. Giunto a Osca (l'attuale Huesca), il calice sarebbe stato messo in salvo dall'invasione araba nell'impervia località dove fu visto nel 1134 e da dove nel 1399 - grazie all'antipapa spagnolo Benedetto XIII - passò a Saragozza e poi a Barcellona, per giungere, nel 1437, nella cattedrale di Valencia. Con due brevi assenze, per essere salvato dall'invasione napoleonica e dagli estremisti repubblicani durante la guerra civile: tra il 1809 e il 1812 ad Alicante, Ibiza e Palma di Maiorca, e tra il 1936 e il 1939, nascosto da una ragazza e trasferito in diverse case della città. E al Graal di Valencia si sarebbe interessato poco più tardi anche Heinrich Himmler, nel quadro del fosco esoterismo nazista. Al termine di una storia che è molto più vera di ogni speculazione esoterica e che mostra la resistenza alle persecuzioni, grazie alla fede di un popolo a cui gli ultimi vescovi di Roma - sin da Giovanni XXIII, che nel 1959 concesse indulgenze per il XVII centenario dell'arrivo in Spagna del calice - hanno voluto rendere omaggio.

Tratto da Avvenire del 7 luglio 2006, Attualità

Der Heilige Gral von San Lorenzo

Un interessante articolo in tedesco, dal titolo "Il Santo Graal di San Lorenzo", che riprende l'evento occorso lo scorso anno durante la presenza di Papa Benedetto XVI a Valencia. Un momento storico che sancisce nuovamente l'importanza che questa reliquia possiede per la religione Cristiana.

E.B.


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Es gibt im Christentum keine Reliquie, die so sagenumwoben ist, wie der Heilige Gral. Einer Legende zufolge, befindet sich der mythische Pokal in Spanien. Doch jetzt behauptet ein Forscher, der Kelch habe die Stadt der Päpste niemals verlassen.
Ruht der Heilige Gral verborgen unter einer römischen Papst-Kirche? Pünktlich vor Ostern will ein italienischer Hobby-Archäologe in mittelalterlichen Fresken und Mosaiken Hinweise auf den sagenumwobenen Abendmahlskelch Jesu entschlüsselt haben. Der mythische Pokal des Parzival wäre demnach nicht nach der Legende nach Spanien gelangt, sondern befände sich noch heute im Grab seines letzten Hüters in der Papst-Basilika San Lorenzo fuori le Mura.
Die These, wenn belegbar, wäre eine Sensation. Denn bisher glaubte man den Gral anderswo: Nach mittelalterlichen Quellen übergab Papst Sixtus II. (257-258) die Kirchenschätze während einer Christenverfolgung an seinen Diakon Laurentius. Bevor dieser selbst auf dem Rost gemartert wurde, verteilte er die materiellen Güter an die Armen; die kostbare Kelchreliquie hingegen – manche deuten ihn auch als eine Schale mit Kreuzigungsblut – ließ er durch einen frommen Soldaten nach Spanien in Sicherheit bringen.

Bodenmosaik soll die Position des Heiligen Grals zeigen

Vor den im achten Jahrhundert eindringenden Mauren retteten Christen das Heiligtum der Überlieferung zufolge zunächst in die Pyrenäen. Seit 1437 findet sich in der Kathedrale von Valencia der „Santo Caliz“, den Gläubige als Gral verehren. Papst Benedikt XVI. feierte mit dem Pokal aus grünem Achat eine Messe, als er im vergangenen Juli Spanien besuchte. Nach Expertenmeinung könnte das Gefäß in der Tat aus der Antike stammen. Aber sollte der Wanderprediger Jesus wirklich einen Becher aus Halbedelstein benutzt haben?
Alfredo Barbagallo ist überzeugt, dass der Gral, wenn es ihn gibt, nie die Stadt der Päpste verließ. Wenige Tage, bevor Christen weltweit des letzten Abendmahls Jesu gedenken, ging der römische Freizeitforscher mit seiner an Dan Brown erinnernden These an die Öffentlichkeit: Die zahlreichen Kelch-Abbildungen in der Basilika San Lorenzo seien ein komplexes Verweissystem, das besage: Der Gral ist noch hier. Es gebe sogar einen Wink, wo er zu finden wäre: Das zentrale Bodenmosaik zeigt in einer Ecke einen Kelch mit farbigen Steinen darüber, die der Forscher als Blutstropfen deutet – und als Wegweiser zur angrenzenden Ciriaca-Katakombe, dem ersten Bestattungsort des Märtyrer-Diakons.
Dass der Heilige Gral praktisch unter ihren Füßen liegen sollte, erfuhren die Kapuziner von San Lorenzo am vergangenen Donnerstag, als das italienische Fernsehen telefonisch einen Drehtermin vereinbaren wollte. Bei den Ordensleuten stieß die neue Theorie auf Erstaunen und Skepsis. Die Spurensuche basiere wie jede Ortung des sagenhaften Kelchs auf einer Legende – „und eine Legende ist eine Legende“, meint Pater Rinaldo Cordovani, der die Basilika betreut.

Eine wissenschaftliche Recherche steht noch aus

Statt weitere Erklärungen am Telefon abzugeben, besteht der Pater auf einem Ortstermin. Dort entpuppen sich Grals-Symbole im Freskenzyklus des Laurentius als Öllampen. Dass der Kirchenpatron mit einem Kelch in der Hand abgebildet wird, verweist laut Pater Rinaldo schlicht auf seine Tätigkeit als Diakon: Mit dem Armendienst war er auch für die Krankenkommunion zuständig. Der Pokal mit den Blutstropfen – Hauptfingerzeig für Barbagallo - findet sich in einem Zwickel des Bodendekors; über den Rand wölbt sich ein Halbrund von grünen, roten und weißen Mosaiksteinen. „Eine Fruchtschale“, meint der Ordensmann.
Schlagworte
Indigniert ist man im Kloster auch darüber, dass sich der Forscher während seiner angeblich mehrjährigen Untersuchungen nie offiziell vorstellte. Barbagallo erklärt, er habe erst seine Beobachtungen sammeln und die Kapuziner nicht verfrüht einbinden wollen. Für Cordovani indessen folgt die Gralssuche der gleichen Sensationslust wie die Vermarktung des Judas-Evangeliums oder anderer apokrypher Traditionen. Kurz: keine wissenschaftliche Recherche.
Barbagallo möchte nun die Ciriaca-Katakombe erneut archäologisch untersuchen lassen, um seine These zu überprüfen. Noch in der Karwoche wolle er bei der Diözese Rom einen entsprechenden Antrag stellen. Dass er damit durchkommt, hält Cordovani für ausgeschlossen. Ohnehin wäre in diesem Fall die Päpstliche Akademie für sakrale Archäologie zuständig. Aber auch ein Nein des Vatikan wird die neue Frage nach dem Gral wohl kaum beenden.

Fonte - Welt Online, 2 Aprile 2007

Benedetto XVI ha usato il Graal

Papa Ratzinger ha celebrato la messa utilizzando il Sacro Graal. Quello che si ritiene essere il calice usato da Gesù nell'Ultima Cena, e conservato nella cattedrale di Valencia da tempo immemorabile, è stato utilizzato da Benedetto XVI durante il rito conclusivo del quinto incontro mondiale delle famiglie.

Giovanni Paolo II, quando andò in Spagna, lo tenne con venerazione tra le proprie mani e lo baciò due volte. Ieri, non appena arrivato in Spagna, Benedetto XVI ha sostato alcuni minuti nella cattedrale meditando davanti alla reliquia. Secondo uno studio scientifico la coppa risalirebbe ad un periodo fra il Secondo e il Primo secolo a.C.

Le peregrinazioni del Graal furono infinite. Portato, secondo la leggenda,a Roma da S.Pietro, fu adoperato l'ultima volta da papa Sisto II decapitato nel 258 d.C. Il suo diacono, San Lorenzo, originario della Spagna, prima di essere anche egli martirizzato affidò la coppa a due legionari cristiani che stavano tornando in patria, pregandoli di consegnarla ai suoi genitori.

Da lì, diversi secoli dopo, l'invasione araba costrinse la reliquia a migrare ancora,fino a San Juan de la Pena, un monastero incassato fra i Pirenei e identificato come Montsalvat, la montagna dove sorgeva il Castello del Graal della tradizione raccontata da Wolfram von Eschenbach nel XII secolo e che più tardi ispirò il Parsifal di Wagner.

Nel 1399 il calice fu reclamato dal re d'Aragona Martin el Humano che lo portò a Saragozza. E la lettera del sovrano che chiede la consegna del Graal è, dopo un inventario del monastero che risale al 1134, il secondo documento esistente sulla reliquia di Valencia, dove giunse grazie a re Alfonso V nel 1437.

Fonte - Il Tricolore, 2006

martedì 9 ottobre 2007

Coordinate per la fotolocazione

Per poter vedere la Cattedrale di Valencia dallo spazio indichiamo le seguenti coordinate :

Il piacere di sorvolare la zona e vedere con gli occhi del cielo un luogo incredibile.

Il Santo Calice a Fivizzano?

Una curiosa rappresentazione del Santo Calice osservata a Monte de' Bianchi (Fivizzano). La rassomiglianza, curiosa ma non significativa di un collegamento con la reliquia valenciana, è forte e mettiamo a disposizione dei nostri lettori una sua immagine.




lunedì 8 ottobre 2007

La Cappella del Santo Calice



Il Santo Calice è custodito dal 1916 nella Cappella omonima, nella Cattedrale di Valencia, che era l'antica aula capitolare.Come sempre,non ci soffermeremo a descriverla completamente,perchè chiunque potrà trovare notizie se lo volesse e se ne sentisse motivato.Ci limiteremo a fornire quelle particolari 'note' che hanno catturato la nostra attenzione.Lo scopo principale della Cappella era di servire come Cattedra di Teologia e come cripta dei prelati e dei canonici.

Successivamente,cessando queste funzioni,si dedicò una Cappella al Cristo della Buona Morte.

La Cappella, in stile gotico fiorito, è bellissima e risente dei suoi secoli, delle sue vicissitudini.Fu realizzata tra il 1365-'69 dal vescovo Vidal de Blanes, sepolto nell'antistante corridoio. In essa si celebrarono processi del Regno e si diedero lezioni di teologia.E' a pianta quadrata(13 metri di lato) ed è alta 16 metri.Le sue pareti sono lisce, di pietra lavorata.La parte che ovviamente colpisce subito è l'urna dov'è custodito il Santo Calice, al centro in un retablo di alabastro che costituiva la parte posteriore del Coro della Cattedrale (XV secolo), dato che questa cappella non subì danni durante la riforma neoclassica del XVIII secolo.
L'opera scultorea è divisa in scene inferiori (Antico Testamento)e superiori (Nuovo Testamento) e vi spiccano le figure dei Dodici Apostoli realizzate dal fiorentino Giuliano Poggibonsi, allievo di Ghiberti, colui che realizzò la Porta del Paradiso a Firenze (battistero).La Cappella è coperta da una volta a crociera nervata a forma di stella, le cui nervature si prolungano fino ad adagiarsi su alcune mensole policrome.
L'opera scultorea è divisa in scene inferiori (Antico Testamento)e superiori (Nuovo Testamento) e vi spiccano le figure dei Dodici Apostoli realizzate dal fiorentino Giuliano Poggibonsi, allievo di Ghiberti, colui che realizzò la Porta del Paradiso a Firenze (battistero).La Cappella è coperta da una volta a crociera nervata a forma di stella, le cui nervature si prolungano fino ad adagiarsi su alcune mensole policrome.
Nelle chiavi di volta sono presenti i Dodici Apostoli e, nella chiave centrale, l'Incoronazione della Vergine dopo l'Assunzione, mistero peculiare di questa Cattedrale.Un altro artista italiano ha lavorato al dipinto dell'Adorazione dei Re Magi (1427) e su un'altra parete spiccano le catene che chiudevano il porto di Marsiglia e che furono portate dal re Alfonso il Magnanimo nel XV secolo,quando espugnò la città.C'è anche lo strumento usato per romperle.Quando il re fece dono del Santo Calice a questa Cattedrale il 18 marzo 1437,consegnò anche altre varie reliquie e in segno di devozione alla Coppa che gli aveva portato 'fortuna', anche i 'trofei' della vittoria. Una scritta color vermiglio spicca vivacemente sulla parete,sotto le catene,che nell'immagine sopra si vede integralmente. Lungo le pareti si trovano antichi sedili in pietra anche consunta(questo locale era la sala Capitolare dei monaci),e il pavimento è molto rovinato, ma così mantiene il suo fascino arcano e la bellezza del suo passato.In due punti, al lato destro e sinistro del 'retablo', si può incontrare una pietra che reca due curiosi 'ovali': si dice che siano le impronte delle ginocchia dei pellegrini...La pietra ha però un colore diverso dal resto delle mattonelle e l'ovale sembra 'ritagliato' nel suo contorno, chissà di cosa si tratta veramente...

Il corridoio

Appena entrati nella Cattedrale, a destra si troverà un cartello che indica la Cappella del Santo Calice e un breve corridoio di accesso, realizzato nel 1496 da Pere Compte per collegare l'aula antica con il resto dell'edificio. L'accesso alla Cappella del Graal è possibile anche da un'altra entrata, interna sempre alla cattedrale, passando per il Museo cattedralizio, come da schema planimetrico. La porta è in stile gotico, lavorata dallo stesso architetto che ha realizzato il corridoio, Pere Compte. Il corridoio merita di essere osservato qualche istante:a sinistra si trova, in particolare, il sepolcro del vescovo Vidal de Blanes,che fu il costruttore della sala capitolare, oggi Cappella del Graal. Alzando lo sguardo al soffitto, si noterà una volta assai strana, costituita da otto medaglioni con altrettanti motivi simbolici,convergenti verso quello centrale, vuoto; il tutto 'raccordato' da costolonature ai quattro angoli del locale, che è molto buio ed è particolarmente arduo anche fare delle foto discrete. Le pareti del corridoio riportano molti segni graffiti, forse 'ricordi' lasciati dai visitatori che si sono succeduti nel corso del tempo.











































Tratto da
Due Passi nel Mistero

mercoledì 3 ottobre 2007

All'inseguimento del Santo Graal di Valencia

Avventura esoterica sulle tracce della più sacra e inafferrabile reliquia della cristianità. Un tesoro ben nascosto nelle valli più impervie dell'Aragona
A cura di Marilena Malinverni


Duemila anni dietro una scodella. Duemila anni che cavalcano. Duemila anni che lo cercano. Da Perceval a Indiana Jones non si è mai perso il gusto della caccia spietata alla più sacra e inafferrabile delle reliquie cristiane. Tutto ha inizio con l'Ultima Cena, quando Cristo spezza il pane e fa girare il boccale del vino benedetto tra i suoi dodici commensali; quando Giuseppe d'Arimatea raccoglie il sangue del costato del Nazareno in una coppa.
Due recipienti che le leggende gnostiche fondono in un solo calice: il Santo Graal. Che Chretién de Troyes e gli altri romanzieri del ciclo arturiano trasformano in mito e oggetto taumaturgico: basta contemplarlo per essere guariti da tutti i mali, liberati da tutte le angosce, sfamati e dissetati. Il che, coi tempi che corrono, è sempre meglio di niente. Perciò non è mai cessata la ricerca.Tutti lo vogliono e molti, dall'Etiopia a Manhattan, sostengono di possederlo. Ma lo tengono nascosto. Per avere sfruttato i suoi poteri magici, i Templari vennero spazzati via da Filippo IV e da papa Clemente V, nel 1312. Con il tempo, la giostra della caccia al sacro vaso è diventata uno sport di massa fatto di avvistamenti, passaggi di mano, occultamenti, linguaggi esoterici. E ora "todos caballeros de la Tabla Redonda": lo spagnolo è di rigore dato che una certa porzione di penisola iberica si proclama custode unica del supremo feticcio e teatro delle sue peripezie. Ultimi discendenti di una plurisecolare schiera di sorveglianti, oggi a Valencia gli fanno buona guardia i pensionati della Confradia del Santo Caliz, armati di gonfalone e solide convinzioni. Per loro, il Graal legittimo è quello esposto nella cattedrale cittadina, lo stesso da cui ha bevuto nel 1982 papa Giovanni Paolo II durante l'eucarestia, facendo attenzione a non avvicinare le labbra alla piccola sbrecciatura sull'orlo: nel XVIII secolo scivolò dalle mani di un canonico mentre lo portava in processione per le vie della città. Era da 1734 anni che non veniva toccato dalle mani di un papa, da quel 258 in cui Sisto II lo affidò al diacono Lorenzo insieme con altri tesori, perché li mettesse in salvo dal furore persecutorio dell'imperatore Valeriano. Il prezioso oggetto che balugina in una nicchia della buia cappella gotica si compone di tre parti distinte: il piedistallo e i manici sono del tardo Medievo, mentre la coppa, lavorata in una varietà di calcedonio o agata detta cornalina, di fattura romana o ellenistica, risale alla fine dell'età precristiana. I conti tornano, gli archeologi non trovano nulla da obiettare su origini e datazione. I confratelli non sono tanto sprovveduti da credere che sia sempre stato lì. "È qui dal 1437, quando Alfonso il Magnanimo lo donò al capitolo della cattedrale", spiega Ignacio Carrau, presidente del devoto sodalizio."Nei secoli precedenti era stato nascosto tra le montagne per sottrarlo ai saraceni, poi ad Alicante e Palma de Mallorca". È scampato alle razzie napoleoniche nel 1809 e agli appetiti dei comunisti durante la guerra civile. Per dieci pesetas, in un bugigattolo della cattedrale, vendono una stampa del calice con la sintesi delle sue più recenti traversie: "Salvato dall'irruzione marxista nel 1936, traslato a Carlet nel 1937, restituito alla cattedrale nel 1939". Ma è tra i monti, non menzionati dal confratello per spirito campanilistico, che restano le tracce più evidenti e meno ideologiche del suo passaggio. Nella scoscesa Aragona, terra ostica di pievi arroccate, monasteri perduti, greggi bucoliche e sterminati silenzi. Nella parte più montuosa della regione, che dalla valle dell'Ebro si arrampica fin sui Pirenei, abbondano i ricordi e i culti dei protomartiri e delle vergini decollate. Per le impervie balze aragonesi transitavano i pellegrini diretti a Santiago de Compostela, lesti a scorgere ovunque tracce di prodigi. Un paesaggio fumigante di nebbie, che Dio deve aver fatto d'autunno, in un momento di malinconia. Huesca, la romana Osca, e i suoi dintorni sono stati per secoli ricettacolo della coppa che scottava come una brace sotto la cenere. Protetta da un'omertà qualche volta pagata con la vita. Il 25 giugno, la ragazza più bella del paese sfila in corteo per la vie di Huesca con indosso vesti damascate e gioielli: interpreta la parte di Orosia, la vergine che preferì il martirio allo stupro musulmano. Il cranio della santa, placcato d'argento dorato, dipinto e sormontato da una corona alta come un panettone, sfolgora in una teca di vetro della chiesa di Yebra de Basa. E tra il 9 e il 15 agosto, con contorno di processioni e corride, tutti a festeggiare Lorenzo, il salvatore del Graal. Il diacono, dopo aver preso il sacro calice in consegna dal pontefice, lo aveva affidato a un soldato romano delle sue parti: in campagna avrebbe dato meno nell'occhio. E così la reliquia peregrinò tra Huesca, Jaca, Yebra de Basa, San Pedro de Siresa... Di tutti i ripari, il più sicuro fu certo il monastero di San Juan de la Peña, cenobio ficcato nelle fauci di un faraglione roccioso del monte Pano. Una sorta di Lhasa iberica con vista sulle cime più alte dei Pirenei, dove gli sciatori della domenica hanno ormai soppiantato i pii romei. Sorto nel IX secolo, San Juan è stato il primo convento a introdurre la messa secondo la liturgia romana in Spagna; nel suo pantheon sono sepolti i primi re aragonesi. A Huesca, nella chiesa di San Pedro el Viejo, Maria e suo figlio José Maria, labbra tirate e aria guardinga, hanno la faccia immusonita di quelli che considerano un fatto personale la rimozione del Calice dalla "loro" iglesia. Poi si rilassano, illustrano allo straniero il romanico maturo della chiesa e gli fanno fare il giro dell'ombroso chiostro. Di segni inquietanti è disseminato tutto questo territorio. A San Juan de la Peña, un vecchietto ti fa notare la somiglianza dei suoi occhi grandi e gonfi con quelli del Cristo e degli apostoli graffiti sui capitelli delle colonne. A Santa Cruz de la Seros, i camini delle case continuano a rifinirli con le espantabrujas, le spaventastreghe, decorazioni esoteriche che hanno lo scopo di tener lontani gli spiriti malvagi. Ne hanno incendiate parecchie qui, di streghe, per vederci meglio nei tempi bui del Medioevo. Jaca è rivale di Huesca per tante ragioni, ma soprattutto per la custodia del disputato Calice. Pare che la cattedrale sia stata eretta proprio a questo scopo. Erano tempi di cupidigia e di caudillos rapaci, come l'avido Childeberto, re merovingio di Parigi, insaziabile collezionista di coppe liturgiche, che nelle sue incursioni al di qua dei Pirenei si era appropriato di ben sessanta pissidi. Il dedalo di viuzze al cui centro s'innalza l'enigmatico edificio religioso serviva a disorientare i malintenzionati e ad appiedare i cavalieri ostili. Essa stessa tesoro architettonico, la cattedrale custodisce il resto del corpo di Santa Orosia, patrona della città. Chi dice che la ragazza fosse una principessa di Boemia, chi d'Aquitania, chi di Cordova. Ma qui i cavilli degli storici non interessano più di tanto. Nel bel mezzo di questo cammino mistico e iniziatico è semmai più utile sapere che la povera decapitata è tenuta in conto di efficace antidoto per spossessare gli indemoniati. Non tutte le reliquie hanno il privilegio di essere protette da casseforti tanto impegnative. Oltre al teschio di Orosia, l'instancabile Mosen Domingo Dueso, parroco più che sessantenne di sette villaggi disseminati tra le balze aragonesi, conserva nella chiesa parrocchiale di Yebra de Basa il piede carbonizzato di San Lorenzo: lo salvò dal falò lo stesso soldato suo compaesano che aveva messo al sicuro il Graal. Anonimo eroe conosciuto come Recaredo, anacronistico nome d'origine visigota, forse saltato fuori da un bisticcio con il termine spagnolo recadero, che vuol dire messaggero, corriere. Devono essere stati un certo numero, nei secoli di gestazione del cristianesimo e delle sue leggende, gli inviati che si sono spinti fin quassù come venditori ambulanti a smerciare reliquie di una fede importata da lontano. A convertire le rurali plebi pagane con discutibili trovate da imbonitori di paese. Basta tenersi sui contrafforti dei Pirenei o battere altre remote regioni iberiche per imbattersi nei frequenti relitti materiali di un'evangelizzazione di bocca buona. Nelle fuligginose Asturie, patria di minatori rossi e tenaci, la cattedrale di Oviedo vanta un'arca di bigiotteria mistica senza eguali, la portentosa "Camara Santa". Lì puoi trovare schegge della Croce e brandelli del Sudario, il resto dei Trenta denari di Giuda, briciole dei pani moltiplicati da Cristo, qualche ciocca della capigliatura della Maddalena, il sandalo destro di San Pietro, un pezzetto della bacchetta con cui Mosé separò le acque del Mar Rosso e molto altro ancora. Sarebbe ingenuo sorridere di tanta ingenuità. I capolavori che avvolgono duemila anni di reliquie ci hanno più che ripagato degli inevitabili danni e delle sicure beffe. Gli studiosi del Santo Graal e i suoi moderni romanzieri, Jean Markale in testa, assicurano che il Calice sia stato intagliato in uno smeraldo ritrovato da Adamo ed Eva nel Paradiso Terrestre, tra fiori che non appassivano mai e sotto alberi che davano frutti tutto l'anno. Si era staccato dalla fronte di Lucifero, il portatore della luce, l'arcangelo ribelle, mentre precipitava agli Inferi. Paradiso e inferno, lande su cui è arduo costruire un itinerario di viaggio. La battaglia di luce e tenebre in questa scabra terra di confine che è l'Aragona qualche volta mette addosso brividi, non sempre provocati al freddo.

La mitica coppa- Per Valencia: voli quotidiani di Iberia e Alitalia da Milano Malpensa, via Barcellona: tariffe a partire da 550 mila lire (validità sette giorni). Per raggiungere direttamente l'Aragona, gli aeroporti strategici sono quelli di Saragozza e Pamplona: biglietto a partire da 399 mila lire, validità massima 14 giorni, compreso un weekend.-Il noleggio di un'auto di categoria A (media cilindrata, tipo Opel Corsa) costa circa 90 mila lire al giorno. (Inf: Squirrel, tel. 02.584.300.11). - Per dormire: il Parador de Bielsa, nel Parco Nazionale di Ordesa, è un confortevole rifugio tutto in legno, con ottimo ristorante al suo interno (camera doppia, 123 mila lire). Un'alternativa è il Parador de Alcañiz, un castello-convento del XII-XIII secolo (camera doppia, 129 mila lire). In Italia sono rappresentati da Alpitour.
Per informazioni e prenotazioni: tel. 0171.3131. - Per altre informazioni: Ufficio spagnolo del turismo, via Broletto 30, 20121 Milano tel. 02.720.046.17, fax 02.720.043.18.

Fonte - D La Repubblica delle Donne, 21 Dicembre 1999

martedì 2 ottobre 2007

Il Santo Calice in un dipinto del 1570 di Juan de Juanes

Cristo durante l'Ultima Cena e il Graal rappresentati da Juan de Juanes (1570).

L'Ultima Cena (1550) di Juan de Juanes, Museo del Prado

Benedicto XVI usó un cáliz cargado de simbolismo

EL PAPA EN ESPAÑA : LA MISA EN VALENCIA -Para la Iglesia Católica es el Santo Grial, la copa de Jesús en la Ultima Cena.



ICONO. El Santo Grial de Jesús.





VALENCIA. ENVIADO ESPECIAL - El papa Benedicto XVI utilizó ayer en la consagración de la misa campal que celebró al concluir su visita a Valencia el legendario ícono sacro del Santo Grial, que los anglosajones llaman Santo Graal, la copa con que Jesucristo ofreció a los discípulos en la Ultima Cena que bebieran el vino que contenía como su propia sangre.Existe una leyenda anglosajona que atribuye propiedades mágicas al Santo Graal y cuyo debate ha sido reactualizado por el libro El Código Da Vinci de Dan Brown, que ha vendido más de 70 millones de ejemplares. Para los católicos no hay dudas: el "glorioso cáliz" que Cristo tomó "en sus santas y venerables manos" y lo dio a sus discípulos entre bendiciones, es custodiado desde hace siglos en la catedral de Valencia tras haber atravesado muchas peripecias. Ayer, el Santo Grial fue llevado entre extraordinarias medidas de seguridad hasta la Ciudad de las Artes y las Ciencias y controlado estrictamente hasta que finalizó la misa y fue devuelto a la capilla de la Catedral donde es conservado.Los altos prelados de la catedral valenciana recordaron que el ícono sacro fue utilizado en 1982 por el papa Juan Pablo II cuando visitó la ciudad, en una ceremonia de ordenación de 141 sacerdotes locales.El vaso de piedra fue construido en el siglo I antes de Cristo y está protegido por otro vaso más grande y una tercera parte que es una montura de orfebrería.La tradición sostiene que el Santo Cáliz de la Ultima Cena fue llevado a Roma por San Pedro y utilizado por 23 Papas. El papa Sixto II, antes de ser decapitado en el año 258 durante la persecución a los cristianos, lo confió a su diácono San Lorenzo, de origen español, quien también antes de ser martirizado lo confió a dos legionarios cristianos.Una de las más importantes reliquias del cristianismo fue llevada a un monasterio en los Pirineos, en la montaña donde surgía el Castillo del Graal, donde nacieron las leyendas anglosajona y germana sobre la copa. En 1399 el Santo Grial fue reclamado por el rey de Aragón, Martín "El Humano", quien lo llevó a Zaragoza. Alfonso V, por fin, lo donó a la catedral de Valencia en 1437, donde desde entonces está custodiado en la catedral.

Fonte - El Mundo, 10.07.2006

At Mass in Valencia, pope uses what tradition says is Holy Grail

Altro articolo in inglese pubblicato in occasione della visita a Valencia di Papa Benedetto XVI.
E.B.


VALENCIA-GRAIL Jul-10-2006 (600 words) With photos. xxxi


At Mass in Valencia, pope uses what tradition says is Holy Grail

By Carol Glatz
Catholic News Service

VALENCIA, Spain (CNS) -- King Arthur and his knights and Indiana Jones looked for it, and most recently Dan Brown's sleuth, Robert Langdon, hunted it down in "The Da Vinci Code."
But these legendary and fictional characters might have saved a lot of trouble in their hunt for the Holy Grail by just going to Valencia.
The host city of Pope Benedict XVI's third pastoral journey abroad July 8-9 is home to what tradition says is the cup Jesus used during the Last Supper.
The custodian of the "Santo Caliz," or Holy Grail, said the age of the stone chalice and documents tracing its history back to 1071 make it "absolutely likely that this beautiful cup was in the hands of the Lord" during the Last Supper.
Msgr. Jaime Sancho Andreu, head of the Valencia Archdiocese's liturgy commission and curator of the Holy Grail, wrote a full-page article in the July 5 edition of the Vatican newspaper, L'Osservatore Romano, describing the chalice, its history and the likelihood of its being authentic, although at least one Vatican art official challenged the notion.
Pope Benedict admired the holy vessel during his July 8 visit to Valencia's cathedral, where the chalice has been kept since 1437, and church officials also gave him a replica as a gift.
The pope used the Grail to consecrate the wine during a July 9 outdoor Mass to close the Fifth World Meeting of Families, just as Pope John Paul II celebrated Mass with the holy chalice during his visit to the city in 1982.
Valencia's sacred chalice is made up of two parts. The polished stone vessel on top is supposed to be the cup of the Last Supper. It is made of dark brown agate and measures 6.5 inches tall and 3.5 inches wide. Archeologists say it dates back to the first century B.C. and is of eastern origin, from Antioch, Turkey, or Alexandria, Egypt.
The part of the chalice that the cup rests upon was made during the medieval period. The chalice's stem and handles are made of fine gold, and its alabaster base is decorated with pearls and other precious gems.
Msgr. Sancho wrote in the Vatican paper that tradition says after Christ instituted the Eucharist at the Last Supper St. Peter took the cup to Rome, where it was protected by successive popes.
The cup then made its way to Spain during the Christian persecutions in Rome by Emperor Valerian in the third century. The grail has a paper trail spanning the 11th-15th centuries that supports its origins, the Spanish monsignor said.
However, Umberto Utro, head of the Vatican Museums' department of early Christian art, told Catholic News Service that Valencia's grail was not the cup used during the Last Supper.
"It's impossible Jesus drank from it; that there were such rich and fine vessels used at the Last Supper was nonsensical," he said, especially since Jesus and most of the apostles came from humble or poor backgrounds.
"He most probably used a cup made from glass like everybody else," he said.
Utro also said preserving relics was not part of the Jewish culture.
The Holy Grail, like most other Christian relics, represents the pilgrims' "pious desire" to have a material or physical connection to one's spiritual roots, he said. Like the Shroud of Turin or Veronica's veil, people do not base their faith in Christ on the existence of such objects, he said, but the relics do help people recall the real past events that make up the Christian faith.

END

The Cup of Christ , una recensione del libro di Hesemann

Una recensione approfondita, seguita da analisi parallele, sul libro di Michael Hesemann (2003) dedicato al Santo Calice di Valenza. Estremamente interessante per gli spunti e le informazioni che fornisce a coloro che studiano tale reliquia.
E.B.


The Cup of Christ
Author:
Michael Hesemann

When Pope Benedict XVI visits Valencia, Spain, in July, he will see one of the most sacred relics of the Christian world: the Santo Caliz, the Holy Chalice, which inspired the myth of the Holy Grail. For more than 500 years the Cathedral of Valencia has been in possession of an agate cup, venerated as the vessel with which Christ initiated the Blessed Sacrament during the Last Supper; a claim which, according to some eminent historians, might very well be true.
Inside Valencia's splendid cathedral, a charming mixture of Gothic and Baroque elements, one can easily find the illuminated shrine on the High Altar where, behind bullet-proof glass, stands a small chalice of nearly translucent agate: the Santo Caliz, the most precious treasure of the "Seu," the "See," as the Cathedral is called in the native Valencian dialect.
Since July 14, 1506, it has been in possession of the canons of the cathedral. Since then, it is taken out of the shrine only twice a year: on Holy Thursday at Easter time and on the "Feast of the Santo Caliz" on the last Thursday in October, when it is carried in a solemn procession to the main altar of the cathedral, where the archbishop of Valencia, today Msgr. Agustin Garcia-Gasco, celebrates Holy Mass in the presence of this precious relic, guarded by the prestigious "Brotherhood of the Knights of the Holy Chalice," headed by the Count of Villafranqueza, a cousin of Spain's King Juan Carlos, and Don Ignacio Carrau, a commander of the Papal Order of St. Gregory the Great and former governor of the province of Valencia.
In its present form, the "Santo Caliz" consists of three parts: a small agate cup, a reversed onyx bowl used as its foot, and a two-handled middle-piece of gold. The onyx bowl is fixed by four gold-bows, set with 27 pea-sized pearls, two rubies and two emeralds. The agate cup is the original relic. In a document of the year 1135, the "chalice of precious stone and a dish of similarly precious stone" are still listed as two separate items. In that year, King Ramiro II of Aragon commissioned his goldsmiths to set them into a single object which corresponded much more with the mediaeval idea of a chalice.
But already in its earliest document, dating from 1134, the stone cup was described as "the chalice in which Christ, Our Lord, consecrated His blood." The same document states that this chalice once "was sent by St. Lawrence to his father's town Huesca."

History of the Chalice

According to Spanish tradition, the chalice of the Last Supper was originally brought to Rome by St. Peter. For two centuries, only the Popes were allowed to celebrate Holy Mass with it, and it is possible that the special Eucharistic prayer of the Roman Canon reflects this, when it says ". . . accipiens et hunt praeclarum calicem" — which, literally, means: "He, taking this very cup." So these words may originally have had both a symbolic and also a very definite meaning.
Probably St. Lawrence was indeed a Spaniard; near Huesca in the north of Spain, an estate named "Loreto" is still venerated as the place of his birth and residence of his parents. Already in the 4th century, the Spanish Christian poet Prudentius mentioned St. Lawrence in his hymn on the Spanish martyrs, which seems to confirm the tradition. Certain it is, according to a contemporary letter of Cyprian, bishop of Carthage, that during the "Valerian persecution" of the year 258, when first Pope Sixtus II and four of his deacons and, three days later, St. Lawrence received martyrdom, Church treasures were confiscated by the Roman emperor. Therefore it would make sense that a responsible deacon, as St. Lawrence certainly was, would have made sure that such a precious relic as the agate chalice would have been sent to a safe place, far away from Rome. His parents' estate in Huesca was at least a plausible possibility.
With certainty it can be said that the agate cup has been venerated as a relic in the monastery of San Juan de la Pena north of Huesca since the 1100s. According to the Spanish tradition, in 712 AD, when the Muslim Moors invaded the Iberian peninsula, the chalice was hidden in the Aragonian highlands, one of the centers of the Christian resistance. For nearly a century it was hidden in a cave sanctuary, before it was moved to the changing royal sees, eventually to the cathedral of the new, provisory capital, Jaca, and from there to the monastery of San Juan de la Pena, which stood directly under the Pope's control. In 1399, King Martin I, at the insistence of the Spanish anti-Pope Pedro de Luna (alias Benedict XIII), ordered its transfer to the palace chapel of his residence in Zaragoza, then to Barcelona, and finally, in 1437, to Valencia. There it was kept originally in the royal palace, before it was transferred to the cathedral and entrusted to its canons.
It seems that the veneration and history of the Santo Caliz is the true core of the myth of the "Holy Grail" which in 1180 inspired the French poet Chretien de Troyes to write his Perceval, in 1205 the German Wolfram von Eschenbach to write his Parzival and the composer Richard Wagner to compose his opera Parsifal, first performed on stage in 1882.
"Grail" is an old Spanish word, meaning "mortar-shaped drinking vessel," which certainly fits for the Santo Caliz in its original (cup) shape. Wolfram von Eschenbach described the grail also as a "stone"; the Valencian cup is made out of a semi-precious stone, agate. Furthermore, he mentioned a mysterious inscription ("an epitaph") on the surface of the stone grail, which reveals "its name and its nature." Indeed the Santo Caliz bears an inscription on the surface of its stone foot in kufic (old Arabic) writing, reading "Allabsit as-sillis."

Also the Grail's Castle Monsalvaesche, as described by Chretien and Wolfram, corresponds in all details of its topographical situation and architectural layout with the fortified monastery of San Juan de la Pena. Indeed, the monastery is situated at the foot of the Mons Salvatoris, a 4,641 foot high mountain. Anfortas, the Grail king, might have been the historical King Alfonso I of Aragon (1104-1134), called "Anforts" in the Occitanian language of his kingdom, or, Latinized, "Anfortius." Like Anfortas, the Grail king, King Alfonso / Anforts used to spend Lent in San Juan de la Pena, where, as documents prove, the Santo Caliz was venerated during that time. He was an important supporter of the Knights Templar and, in his testament, left them a third of his kingdom, which may explain why the knights guarding the Holy Grail are called "Templeises" in Wolfram's Parzival. Like the Anfortas of the myth, the historical Alfonso / Anforts was mortally wounded in a battle before he was brought to San Juan de la Pena, where he died seven weeks later, though in popular belief he, like King Arthur, never died and was expected one day to return. This caused the myth of the ailing King Anfortas, who, guarded by the Templeises / Templars, awaited salvation in the presence of the Grail. The historical "Parzival," hero of the first Grail epics, could have been the cousin and companion of the king, the French count Rotrou Perche de Val (Spanish: "Conde de Valperche").
Wolfram leaves no doubts that the myth of the Holy Grail indeed had its origin in Spain. According to his Parzival, the French troubadour Guiot de Provins brought the story from Toledo. Indeed, Guiot did visit the court of King Alfonso II of Aragon to play and sing at his wedding in 1174. At that time, the king was preparing a new campaign against the Moors. His grandfather, Alfonso I / Anforts, for his campaign against the Moors, had once received all the privileges and indulgences of a Crusade from Pope Paschalis II (1099-1118). Alfonso II also hoped for the blessing of the Pope and to win the best European knights to fight on his side. To attract them, he needed a new myth. Those who went on a crusade to Jerusalem fought for the Holy Sepulchre. The message of the Grail-myth was: even more honorable than going on a crusade for the liberation of the empty tomb would be to serve the Holy Grail, the symbol of the Holy Eucharist, in which Christ is alive and among us. Therefore, Guiot combined the history of the Holy Grail with the Arthurian legends: the Knights of the Round Table were the great role models of the mediaeval knights, and Europe's princes were expected to follow their example and recognize the Grail as the highest good imaginable.
Although the Grail myth developed its own dynamics and became a popular and inspiring literary motif over the years, its message remained the same: it became the symbol of man's eternal quest for God and therefore a metaphor for the highest ideals and aspirations of Christian Europe. To search for the Holy Grail means to get to the bottom of the mystery of the Holy Eucharist. When the Grail promises eternal life, the Blessed Sacrament fulfills the promise of Christ: "Whoso eateth my flesh, and drinketh my blood, hath eternal life." (John 6:54)

The Chalice of Christ?

Although it seems certain that the myth of the Holy Grail originates in the veneration of the Santo Caliz during the 12th century, the question whether it indeed is the chalice used by Jesus Christ during the Last Supper has to remain open.
The stone cup is, according to leading archaeologists like the Spanish professor Antonio Beltran, a typical drinking vessel of the Hellenistic era (3rd-1st century BC), most probably created in the workshops of Antioch, Syria.
The British Museum in London exhibits two similar cups of chalcedon and sardonyx from the Roman period, dated 1-50 AD, as Janice Bennett shows in her book St. Laurence & the Holy Grail (2002). Goods from Antioch, the capital of the Seleucid Empire, were popular in Jerusalem.
For the seder meal on Pesach (Passover), traditional Jews preferred stone vessels, since only stone was considered "kosher" or ritually pure. Clay was too porous and could contain impurities, while silver might have been used before for coins with the images of pagan deities and therefore was considered impure, too.
Of course, an agate cup was a very precious vessel. But nothing indicates that Our Lord actually owned the chalice He used during the Last Supper. Instead, there are several indications (as the renowned Benedictine archaeologist Father Bargil Pixner has pointed out) that the Last Supper took place in the guest house of the Essene community. The earliest Christian tradition located the "Upper Room" on Mount Zion which was, according to the Jewish historian Flavius Josephus, the Essene Quarter.
When in the rest of Jerusalem the passover meal took place on the eve of the Sabbath (as St. John reports in 18:28: the Jewish priests "went not into the Judgement Hall, lest they should be defiled; but that they might eat the passover"), the Essenes followed a slightly different calendar according to which the "first day of the unleavened breads" was already the Wednesday before. If the Last Supper was indeed a passover meal, it could have taken place on the traditional date, Holy Thursday, only in the Essene Quarter and in no other part of Jerusalem. From the Dead Sea Scrolls, found in the caves of Qirbet Qumran, we know that already the Essenes, in expectation of the Messiah, celebrated a "Meal of the Covenant." We can assume that they used precious vessels for this purpose.
When we read in the Acts of the Apostles, that the Twelve returned to the "Upper Room" on Pentecost (Acts 1:13; 2:1), this demonstrates a close contact to the Essene community and makes it possible that the chalice was indeed entrusted to St. Peter, the Prince of the Apostles.
Therefore, although it cannot be proven that the Santo Caliz is indeed the Chalice of the Last Supper, nothing excludes this tradition. Maybe it can be said here, too: "In dubio pro traditio" ("when a matter is in doubt, side with the tradition").
Indeed it is difficult to think that the chalice with which the most holy sacrament was instituted as the meal of the New Covenant, simply got lost.
Also, no other vessel can make any legitimate claim. The "Sacro Catino" of Genoa, which was found during the conquest of Caesarea in 1102, is an Arabic glass work of the 9th century. Originally it was thought to be of emerald and believed to be a gift of the Queen of Sheba to King Solomon, so in the 13th century Jacobus de Voragine, bishop of Genoa and author of the Legenda Aurea, speculated it might have been the Holy Grail.
Since only the Santo Caliz has a venerable, ancient and at the same time plausible tradition, its claim to be Christ's actual chalice seems a legitimate one.

John Paul II and the Santo Caliz

When Pope John Paul II visited Valencia on November 8, 1982, he was shown the Santo Caliz and its history was explained. Carefully the Holy Father touched the golden pedestal of the relic, bowing down and kissing it as a sign of veneration. Then he asked to use it for the great Pontifical Mass to take place in the largest square of Valencia; gladly the canons fulfilled his wish. So it happened that, for the first time in 1,724 years, a successor of St. Peter spoke the Eucharistic Prayer over the most holy chalice.
A visit of Pope Benedict XVI to the Cathedral of Valencia during his stay in July is already scheduled, and the experts are ready to explain the history of the precious relic to the 265th successor of St. Peter. We will see if he will venerate it with the same devotion as his great predecessor did. But it seems like a good omen that Benedict was elected Pope during the Year of the Eucharist.
Michael Hesemann, a German author and historian, has written several books on Christian relics. Urbi et Orbi Communications, Inc., New Hope, KY, March 2006.

Papa Benedetto XVI e il Santo Graal

Un articolo in inglese di estremo interesse sul Calice di Valenza e Papa Benedetto XVI.

CATEGORY: SESSIUNCULUM — Fr. John Zuhlsdorf @ 3:47 pm

Grail of Valencia

When His Holiness Pope Benedict visits Valencia in Spain, he will surely visit the Chapel where people venerate what well might be the actual Holy Grail.

I am quite interested in this topic, since I am more than hopeful that we will eventually get a good and accurate translation of pro multis in the consecration formula for the Precious Blood during Mass. We all know it means "for many", but let’s move on.

An interesting book by Janice Bennett entitled St. Laurence and the Holy Grail: the story of the Holy Chalice of Valencia (Ignatius, 2004) argues that the 1st century cup of agate, now mounted on a medieval base of gold and precious stones is the cup that Jesus used at the Last Supper for the consecration of His Most Precious Blood, “poured out for many for the forgiveness of sins.”

Please understand that this book has big holes, uneven writing and research, and is open to serious skepticism on some aspects. However, it also relates truly fascinating information about this amazing relic held in Valencia and gives the reader a glimpse into the story of St. Lawrence and translations of various manuscripts of interest. Take this with a grain of salt, but it is a great read.

The cup itself is of a kind of agate, like chalcedony or sardonyx. It is like other cups found in Egypt, Syria and Palestine at the time of Christ. In the British Museum there are stone cups of the same style as that in Valencia dating to A.D. 1-50. It is of an odd color, reddish, “like a live coal”, and it is hard to say exactly what the stone is. The ancient naturalist Pliny describes that stone cups were submerged in oil until the stone absorbed some, and then boiled in acid which modified the organic material and changed the colors of the veins in the stone. The cup was very finely and accurately crafted and lacks ornament other than a fine band around the lip. It was broken through the middle on 3 April 1744, Good Friday, when it was dropped. The break was repaired and only a tiny chip is missing. The cup can hold about 10 ounces.

You are asking, “But Father! But Father! How can anyone claim that this cup in Valencia came from the hands of Jesus in Jerusalem?”

The cup has an interesting story, traced by Bennett in her book. Here is the super brief version. Some scholars argue that Christ used two different cups at the Last Supper, one of metal and the other of agate, the latter used for the first consecration. Some argue that the Upper Room used for the Last Supper belonged to the family of John Mark. There is some confused about the different “John”s and “Mark”s in the New Testament. Suffice to say that it is possible that Mark the Evangelist was the son of the women who was a prominent member of the first Christians in Jerusalem. Peter went to her house when he was released from prison. That house was a meeting-place for the brethren, “many” of whom were praying for Peter when he was in prison: (Acts 12:12-17). This is possible the same place where the Last Supper took place, which establishes a connection with Mark and with Peter. It is argued that Mark gave Peter the cup Jesus used at the Last Supper for the consecration of his Precious Blood. This would be the second cup Jesus handled that night. St. Peter consequently took the cup with his to Rome, where the Prince of the Apostles used it for Holy Mass until his martyrdom under the Emperor Nero. Thus, this cup became a precious object within the Christian community in Rome.

Martydom of LawreneSixtus II ordains Deacon Lawrence Bennett relates the argument of that the presence of and even use of this cup in the ancient Roman Church is proposed as a possible reason why in the Latin Rite our consecration formula speaks of “hunc praeclarum calicemthis precious chalice” whereas the non Latin rites refer to the Greek “to poterion… the cup”. Interestingly, in the New Testament the word used is poterion, “cup”, and in Latin it is calix. However, in Spanish the word caliz (in Italian calice) is used to distinguish this important vessel for Mass from a simple cup, or copa (Italian coppa). “Cup” is simply not worthy of the moment and the purpose. Where do the words involved here come from? A Greek kylix was ceramic and had a wide base, was shallow, and had handles parallel to the table along the wide open lip. This style also came to be made from precious metals. The Romans called this cup a calyx. The word “grail” probably derives from old Spanish gral, grail for a drinking vessel, perhaps coming from Latin gradale or grasale a wide dish. In Provençal, the language of many of the troubadors who spread the grail legends, we have grazal.

During the time of the Emperor Valerian there was a terrible persecution of Christians. In A.D. 258 Pope Sixtus II was commanded to turn over the goods of the Church and, when he refused, was killed. Sixtus, however, had entrusted to his deacon the goods of the Church for their administration. This deacon was the famous St. Lawrence, a Spaniard from Huesca. When the Emperor went after Lawrence and commanded that the goods of the Church be rendered up. Lawrence asked for three days to get everything together. But instead of giving it to the officials he gave everything away and then produced a group of poor people, saying “These are the true treasures of the Church”. For that Lawrence was beaten and tortured horribly, even to being fried alive on an iron grate. For his part, however, Lawrence had already given the precious stone cup to another Spaniard named Precelius, who took it to Spain. The iron grid of Lawrence’s martydom is preserved in a Roman Church just a few minutes from where I am writing, in San Lorenzo in Lucina while he was martyrdom where there now stands San Lorenzo in Panisperna and buried at San Lorenzo fuori le mura, a Minor Patriarchal Basilica. Lawrence is obviously the patron saint of cooks as well as several other groups.

This is where the history firms up a bit. Various manuscripts indicated that the stone cup was kept in several places. By 533 it was in the Cathedral of Huesca, which was built in that year. Huesca was where St. Lawrence was from and perhaps where the Spaniard Precelius took it. After the 711 invasion by the Moslems it was hidden in the Pyrenees in various caves. After Charlemagne’s journey to the area in 777, the location of the cup, which was hidden, roused up many of the “grail legends” that come down to us in many forms today. In 830 the cup is at the Monastery of San Pedro de Siresa. In 1071 it was taken to the monastery of San Juan de la Peña. In 1190 Cretién de Troyes wrote a 9324 line poem Perceval about the “Holy Grail”. In 1209 Wolfram von Eschenbach wrote Parcival, based on Spanish legends, which centuries later inspired Richard Wagner’s opera. In 1322 a Sultan sells a gold cup from Jerusalem, which he claims is the cup of the Last Supper, to Jaime II, King of Valencia and Aragón. This is perhaps the cup which is converted to become the base for the ancient stone cup. In 1399 the stone cup was given to King Martin the Humane and taken to Barcelona. King Alfonso V of Aragón sends the cup to Valencia. In 1744, the cup is broken, repaired and fixed to its base. In 1936, to save it from the Marxists, a woman named María Sabina Suey smuggled the cup out of the Cathedral wrapped in newspaper. She hid it in vaJohn Paul IIrious places to keep it from desecration and destruction. The cup returns to the Cathedral of Valencia in 1939 with the end of the war where it remains to this day.

Even if this is not the very cup Jesus used at the Last Supper, and it might well be, it is hard to dismiss that this is the cup that inspired all the Holy Grail legends which branch into the stories of the Knights of the Round Table, an Indian Jones movie, and another recent piece of rubbish not worth our time to name.

The ancient stone cup, on its golden medieval base, is now in a beautiful chapel in Valencia. When Pope John Paul II visited Valencia on 8 November 1982, he kissed the cup and then used it to celebrate Holy Mass. It might have been the first time, 1724 after Pope Sixtus II, that “Peter” had held the cup again.

I will be watching Pope Benedict’s journey to Valencia carefully to see if he uses the “Holy Grail”.

It could really be it, after all.

Video del Santo Padre Benedetto XVI durante la messa celebrata in occasione del V° raduno internazionel sulla famiglia tenutosi a Valenza nel 2006. Il Papa, nella celebrazione eucaristica, ha officiato il rito con il Santo Calice conservato presso la cattedrale di Valencia. Un gesto importante quanto significativo sul ruolo che tale reliquia esplica nel creado cattolico.


La verità e il simbolismo del Santo Graal, rivelazioni sul Calice di Valencia

L'articolo che Vi presentiamo è una nota stampa uscita attraverso l'agenzia Zenit il 5 agosto del 1999. L'articolo, anche se in spagnolo, è facilmente comprensibile e traccia una linea storico-interpretativa molto interessante sul Santo Calice conservato presso la Cattedrale di Valencia.

E. Baccarini


LA VERDAD Y EL SIMBOLO DEL SANTO GRIAL

Revelaciones en torno al Santo Cáliz de Valencia

MADRID, 5 ago 1999 (ZENIT).- «El Misterio del Santo Grial. Tradición y leyenda del Santo Cáliz», es el título del último libro publicado sobre la reliquia a la que se le atribuye su utilización por Jesucristo en la Ultima Cena y que se conserva en la Catedral de Valencia. El autor de la obra, es Salvador Antuñano Alea, de 33 años, profesor de Ética y Sagrada Escritura en el Centro Universitario Francisco de Vitoria en Madrid.

«Si Indiana Jones hubiera visitado Valencia, no hubiera hecho caso de vetustas leyendas medievales, y se hubiera ahorrado todos los peligros de "la Ultima Cruzada"», asegura Antuñano con humor en las primeras palabras del libro. A través de 220 páginas realiza un recorrido por la tradición que envuelve el Santo Cáliz, con las averiguaciones arqueológicas sobre su utilización en la Ultima Cena, el uso que de él hicieron los primeros Papas de la cristiandad, su traslado a España, las leyendas medievales, su estancia en el monasterio oscense de San Juan de la Peña y su primera entrada en la historia documentada a finales del siglo XIV.

Recoge finalmente los «empeños, quebrantos y persecuciones» de que fue objeto desde entonces, y su utilización por Juan Pablo II durante la misa que presidió en Valencia en noviembre de 1992.

Según la tradición, el Grial fue el cáliz del que bebieron Jesús y sus discípulos en la Ultima Cena. Se trata de una copa propiamente dicha, a la que se le ha añadido una estructura de oro con dos asas que los une. El conjunto mide 17 centímetros de altura. La copa es de forma semiesférica, con un diámetro de 9 centímetros y constituida por ágata, de color rojo obscuro, cuyo estudio arqueológico muestra que fue labrada en su taller de Palestina o Egipto entre el siglo IV a.c. y el primero de nuestra era.

En los albores del cristianismo Este vaso de suma trascendencia no pudo ser olvidado tras la muerte del Redentor, tanto más cuanto los discípulos se reunieron varias veces en el Cenáculo. Así se explica el que el Santo Cáliz apareciese en Roma, llevado según la tradición desde Jerusalén por san Pedro. Transcurrieron, pues, dos siglos y medio en los que existen claros indicios de que el cáliz fue utilizado por los pontífices para celebrar la Eucaristía. Según ha indicado
Antuñano, «lo que más impresiona al investigador es que el canon litúrgico romano de los primeros Papas, en el momento de la consagración, decía textualmente: "tomando este glorioso cáliz", refiriéndose a "este" solamente».

La historia del Cáliz cuenta que, en la persecución del emperador Valeriano antes de morir, el Papa Sixto II entregó las reliquias, las alhajas y el dinero a su diácono Lorenzo, natural de Huesca (España), quien también fue martirizado, no sin que antes enviara a la ciudad natal el Cáliz de la Eucaristía acompañado de una carta suya. Ocurría todo ello el año 258 o, según algunos autores, el 261.

La copa permaneció en Huesca hasta la invasión musulmana. El obispo de la ciudad, Audeberto abandonó con el Santo Caliz su tierra en el 713 para refugiarse en la cueva del monte Pano donde vivía el ermitaño Juan de Atarés; lugar en el que posteriormente se fundó y se desarrolló el monasterio de San Juan de la Peña; del que surgió un núcleo de hombres esforzados que acometieron la reconquista contra los mahometanos. Tuvo esta lucha caracteres épicos, que no dejaron de ser aprovechados por la creación literaria, ya que, según historiadores de la literatura, constituyen el origen o la fuente de poemas tan célebres como los de Cristián de Troyes o Wolfram de Eschenbach, con su héroe Parceval o Parzival, que es posteriormente al Parsifal de Ricardo Wagner. En todos estos poemas hay un Vaso maravilloso, al que se denomina «Graal» o «Grial» y cuya relación con el Santo Cáliz es fácil comprender.

La presencia del Santo Caliz en San Juan de la Peña está testificada por un documento del 14 de diciembre de 1134. El 26 de septiembre de 1399 el Cáliz pasó a ser custodiado en Zaragoza, a petición del rey de Aragón, don Martín el Humano. En el texto de entrega, que se conserva en Barcelona, se hace constar que el Santo Cáliz fue remitido desde Roma con una carta de San Lorenzo. Durante el reinado de don Alfonso el Magnánimo la reliquia fue trasladada a Valencia. Desde el 18 de marzo de 1437 se conserva en la catedral de esa ciudad, según un documento en el que se refiere al «Cáliz en que Jesucristo consagró la sangre el jueves de la Cena».

La historia más dramática y sublime de la humanidad «El Santo Cáliz no se conoce suficientemente ni dentro ni fuera de España», asegura Antuñano, mexicano residente en España, que considera que «su valor no está en un rigor científico plenamente demostrado, por más que la arqueología misma no tenga nada que objetar contra su autenticidad, sino por el simbolismo que tiene con la Cena del Señor: vale porque es signo y figura de la institución de la Eucaristía y esto es mucho más grande que cualquier vestigio histórico». Según Antuñano, «cuando se desvela el misterio del Grial, uno se da cuenta de que no tiene nada de enigma esotérico, aunque lo que encierra es la historia más dramática, romántica y sublime que la humanidad ha vivido: la historia del Verbo hecho Hombre y Eucaristía».

La obra, editada por EDICEP, ha sido prologada por el arzobispo de Valencia, monseñor Agustín García Gasco, quien considera su lectura «sumamente recomendable porque resalta que el valor y el sentido del Santo Grial adquiere en la Eucaristía toda su relevancia».

Hesemann e il libro sul Graal di Valencia

Nella scia dei precedenti due volumi sulle reliquie cristiane editi in Italia dalle Edizioni San Paolo e da noi recensiti, Michael Hesemann ha ora pubblicato in Germania, con la Pattloch di Monaco di Baviera, la sua ultima fatica. Si tratta dell’atteso DIE ENTDECKUNG DES HEILIGEN GRALS, dedicato al Santo Graal. In quasi 400 pagine Hesemann passa in rassegna le testimonianze storiche e identifica infine il Graal nel "Santo Caliz" custodito a Valencia. Ci auguriamo che Le edizioni San Paolo pubblichino anche questo terzo volume del ricercatore tedesco. Sarebbe proprio il caso.

Fonte - Archeomisteri, I Quaderni di Atlantide, rubrica delle recensioni librarie - n°11 Set./Ott. 2003



Notizie Biografiche dell'Autore

Michael Hesemann, CSC - is a historian, journalist, internationally published author and art expert. n March 2006, on request of the Cofradia of the "Caballeros del Santo Caliz", Hesemann briefed Pope Benedikt XVI and Archbishop Piero Marini, Master of Liturgical Ceremonies of the Holy Father, on the "Santo Caliz" (Holy Chalice) in preparation of the Holy Father's announced trip to the World Family Meeting in Valencia. Indeed on July 8th, 2006 Benedict XVI "halted before the celebrated relic of the Holy Chalice", as he told the Valencians later. The next day, July 9th, he celebrated Mass with it in front of over 2 Million people.

ARCHEOMISTERI, I Quaderni di Atlantide

Il Numero di ARCHEOMISTERI del Gennaio-Febbraio 2007 (Anno 6, n.31) è stato dedicato ad un corposo studio compiuto da Michael Hesemann sul Santo Calice di Valencia. Un mistero ancora irrisolto ma che richiama ogni anno migliaia di fedeli nella cattedrale catalana. Heseman, dopo la sua ultima fatica libraria dedicata proprio al Graal valenciano ha riproposto con questo suo studio le più aggiornate analisi in materia che tenderebbero a confermare la realtà storica che vorrebbe in questo calice il vero Graal della tradizione.
Contributi tecnici di Roberto Pinotti e Enrico Baccarini.

Festività del Corpus tenutesi a Valencia nel 2006

Programma della festività del Corpus tenutasi tra il 16 e il 19 giugno del 2006 a Valencia con un carro allegorico rappresentante il Santo Calice.


FESTIVIDAD DEL CORPUS VALENCIA (Del 16-06-2006 al 19-06-2006)


PROGRAMACIÓN
16 DE JUNIO 2006


A las 9´00 Horas.- Traslado de las Rocas desde la Casa de las Rocas hasta la Plaza de Los Fueros.
A las 10´00 Horas.- Entrega de Pomells a las Primeras Autoridades.
A las 20´30 Horas.- Traslado de las Rocas a la Plaza de la Virgen donde quedarán expuestas.


17 DE JUNIO

A las 19´30 Horas.- Representación dels Misteris en la Plaza de la Virgen.
A las 23´00 Horas.- Concierto de la Banda Municipal en la Plaza de la Virgen.


18 DE JUNIO


A las 9´00 Horas.- Repique de campanas desde la Torre del Miguelete.
A las 12´00 Horas.- Misa Pontifical.
A las 12´00 Horas.- Cabalgata del Convite con expresa invitación del Capella de les Roques, exhibición de danzas típicas del Corpus y Degolla.El recorrido será el siguiente: Palacio de la Generalitat, Plaza de la Virgen, Miguelete, Plaza de la Reina, Cabillers, Avellanas y Plaza de la Almoina.
De 12´00 a 12´30 Horas.- Volteo de campanas correspondiente a la Festividad del Corpus desde el Miguelete.
A las 16,30 Horas.- Paso de las Rocas. El recorrido será el siguiente: Plaza de la Virgen, Caballeros, Tros Alt, Mercado, María Cristina, San Vicente, Mar, Avellanas, Subida del Palau, volviendo por Avellanas, Mar, Paz, General Tovar, Plaza de Tetuan, Plaza del Temple, Pintor López, Conde de Trenor, Plaza de Los Fueros a Casa de las Rocas
A las 17´30 Horas.- Salida de los Carros de Murta y Les Danses.
A las 19´00 Horas.- Solemne Procesión

Con el siguiente itinerario:

Salida de la Catedral por la Puerta de los Apóstoles, Plaza de la Virgen, Caballeros, Tros Alt, Bolseria, Mercado, María Cristina, San Vicente, Plaza de la Reina, Mar, Avellanas, Palau, Plaza de la Almoina y entrada a la Catedral.
De 19´00 a 21´00 Horas.- Volteo de campanas desde el Miguelete.


Os recomendamos: http://www.corpusvalenciaamics.com/