E. Baccarini
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Nel vecchio magazzino ora trovi il «Tesoro»
Un magazzino abbandonato usato anche per fiere di beneficenza: a questo era ridotto il grande vano dove è stato allestito il Tesoro della Basilica di San Lorenzo. L’ambiente ha importanza fondamentale nella storia del complesso poiché – costituendo le fondamenta della Sagrestia Vecchia – fu una delle prime parti edificate da Brunelleschi dal 1422. Il grande pilastro centrale che sostiene le volte a crociera ribassate, costituisce la struttura portante dell’intero ambiente, e assume anche una straordinaria valenza simbolica, poiché sorregge – nella soprastante Sagrestia – la tomba di Giovanni de’ Medici (primo mecenate della famiglia che la Sagrestia aveva fatto costruire) e di sua moglie Piccarda Bueri. Ai lati del sepolcro, nel pavimento, furono anche predisposte due sepolture, una per gli uomini, l’altra per le donne del casato. Quando nel 1467 il corpo di Cosimo il Vecchio fu inumato all’interno del pilastro all’incrocio del transetto con la navata, in un monumento realizzato da Andrea del Verrocchio, fu riproposta la valenza funeraria del pilastro che sorregge la Sagrestia Vecchia, da quasi un quarantennio mausoleo familiare: un assetto che sottolinea l’appropriazione medicea degli spazi del complesso fin dalle radici. In ambedue i casi la posizione è straordinariamente significativa anche perché sotto una cupola e davanti all’altare, collocazione riservata in antico ai martiri cui l’edificio era dedicato. Anche Donatello, legato da stretta amicizia a Cosimo, fu sepolto per volere del suo mecenate nei sotterranei in prossimità della tomba di lui, ed è oggi possibile, visitando il Tesoro, ammirare sia il monumento a Cosimo che la memoria donatelliana.
Col tempo si è perso questo alto significato simbolico dell’ambiente sotto la Sagrestia Vecchia, soprattutto dopo che nel Cinquecento il Capitolo lo concesse quale sede alla Compagnia del Santissimo Sacramento. Gli scopi del sodalizio – comuni a tutti i gruppi laicali legati alle parrocchie – erano principalmente connessi alle processioni con le quali l’ostia consacrata era portata ai malati della parrocchia, al trasporto dei defunti e alla partecipazione alle cerimonie solenni. Gli affreschi della volta e delle lunette dell’oratorio sono stati realizzati nel 1733 dal confratello Giovan Filippo Giarrè, mentre non resta nulla degli arredi, poiché la confraternita fu soppressa da Pietro Leopoldo nel 1785, e le opere vennero disperse. La compagnia venne ripristinata nel 1790, e ancora all’inizio del Novecento contava più di millecinquecento ascritti.
L’ambiente oggi, dopo il nuovo allestimento, ha riacquisito la dignità a lungo perduta, recuperando anche il rapporto ideale con la soprastante Sagrestia Vecchia, permettendoci così di osservare da vicino le radici di San Lorenzo, l’antichissima basilica fondata nel 393 e che riallaccia la sua storia alle origini di Firenze.
Dinanzi allo scrigno delle meraviglie
Oro, argento, smalti, pietre dure, cristallo di rocca e pietre preziose: questi i materiali rari e di grande pregio che nel corso dei secoli sono stati lavorati dagli artisti fiorentini per dare vita a suntuosi arredi liturgici e a monumentali reliquiari per la basilica di San Lorenzo a Firenze. Chiusi per secoli negli armadi delle cappelle della chiesa e nei mobili della canonica, sono ora visibili al pubblico grazie all’allestimento permanente di una sala interamente dedicata al Tesoro di San Lorenzo, recuperata nell’ampio sistema dei sotterranei della Basilica.
Molti i motivi per andare a visitare questo prezioso scrigno, che arricchisce i già tanti possibili itinerari artistici che San Lorenzo offre.
Innanzi tutto vi è la bellezza delle singole opere, circa quaranta, databili in un lungo arco di tempo che si snoda dal Trecento (periodo al quale risalgono una serie di eleganti reliquiari in cristallo di rocca con smalti) per giungere all’Ottocento con vari e non meno belli arredi d’altare. E ancora, vi è l’importanza degli artisti che questi preziosi materiali hanno lavorato esprimendo al meglio la loro arte.
Basti pensare all’intenso Crocifisso in argento e argento dorato realizzato intorno al 1444 da Michelozzo di Bartolomeo per rifondere la chiesa di un più antico crocifisso rubato due anni prima, quando era stato prestato per allestire una cappella privata per re Renato d’Angiò nel palazzo della famiglia Bardi, dove questi era stato ospitato. O guardare la monumentale cassa reliquiario (larga più di due metri) destinata ad accogliere i sacri resti dei santi Marco Papa, Amato e Concordia martire, realizzata nel 1622 con, sul fronte, una immagine del granduca inginocchiato sullo sfondo di una nitida veduta della Firenze del tempo. E ancora riflettere sui livelli di assoluto virtuosismo con i quali sono stati lavorati i trionfi di pietre dure che arricchiscono buona parte degli altri reliquiari seicenteschi, realizzati all’interno dei laboratori istituiti dai Medici per servire alle esigenze della corte, ma spesso attivi per le principali chiese cittadine a cui i vari membri della famiglia erano legati.
Ed è questo il secondo motivo che rende di estremo interesse ciò che nel Tesoro è esposto, cioè la capacità di queste opere di raccontare lo stretto legame tra la città, i Medici e la basilica di San Lorenzo, com’è noto assunta sotto la protezione della famiglia fin da quando Giovanni di Bicci (padre di Cosimo il Vecchio) aveva deliberato di contribuire in modo determinante alle spese della nuova costruzione brunelleschiana, identificandola in pratica come chiesa della famiglia e luogo privilegiato sia per i matrimoni sia per i funerali dei propri membri.
Momento centrale di questa vicenda sono due episodi in assoluto di grande rilievo per la storia di tutta la città, legati alle donazioni di papa Leone X (al secolo Giovanni de’ Medici figlio di Lorenzo il Magnifico) e di Clemente VII (al secolo Giulio de’ Medici). Per rendere ancor più evidente il patronato della famiglia sulla Basilica e al tempo stesso esaltare la propria storia e consolidare il proprio potere, questi trasferiscono alla chiesa tra il 1516 e il 1532 (dopo aver fatto erigere da Michelangelo Buonarroti un adeguato spazio sulla controfacciata provvisto di un affaccio da cui mostrare al popolo tali doni) uno straordinario insieme di reliquiari di inestimabile valore, sia per la sacralità dei corpi santi che custodiscono, sia per il valore artistico e storico dei vasi che ne determinano la custodia, già appartenuti nella maggior parte a Lorenzo il Magnifico e realizzati in pietre rare e preziose. Proprio per il loro straordinario valore queste opere, se sono passate per lo più indenni attraverso quattro secoli di storia, sono state anche in parte requisite per essere esposte nei musei (il nucleo più rilevante è oggi visibile nel Museo degli Argenti a Palazzo Pitti), non senza compensare la Basilica con altri oggetti d’arte, sempre di committenza medicea e provenienti dalle cappelle private dei loro palazzi.
Ed è proprio con reliquiari provenienti da Palazzo Pitti che si determina il nucleo più significativo del tesoro che oggi viene esposto, legati a committenze ora di Cosimo III ora di Ferdinando II, ambedue ossessionati dal culto delle reliquie e pronti a sperimentarne tutte le possibili varianti per custodirle in magnifiche teche, in sintonia con il gusto seicentesco in cui non può esistere bellezza se non strettamente unita a una spettacolarità tesa a destare la meraviglia nello spettatore così come nel fedele. È in questo contesto, ad esempio, che nasce il reliquiario dei Santi Fondatori che viene qui esposto, caratterizzato dalla presenza di una serie di statuette a tutto tondo di santi in pietre dure, azionato da un meccanismo che consente alla struttura di ruotare per poterla osservare in tutte le sue parti e far muovere i vari santi come in un vero e proprio teatrino meccanico.
In questi anni l’oro, l’argento e gli altri materiali preziosi sono usati in variazioni sempre nuove, a ribadire quanto al tempo doveva essere credo diffuso, cioè che quanto più il materiali fosse raro e difficile da lavorare, più sarebbe piaciuto a Dio.
E c’è da ringraziare che tale credenza fosse così radicata al tempo visto che, potendo disporre i potenti di allora dei mezzi necessari per acquistare quanto di più raro ci fosse in commercio, e di artisti e artigiani capaci di trasformare i materiali più difficili in figure, maschere ornamentali e capricci decorativi di puro diletto esecutivo, ci ha lasciato opere d’arte di grande bellezza e suggestione.
Con l’esposizione di queste quaranta opere possiamo dirsi interamente svelato quanto San Lorenzo ha custodito segretamente nel corso dei secoli, e completato un itinerario avviato nel lontano 1945, quando una prima parte del tesoro era stata resa visibile nell’allestimento di alcune vetrine nelle sacrestie della Cappella dei Principi, che ancor oggi forniscono l’altro fondamentale percorso per avvicinarsi alla storia della chiesa, al tempo stesso luogo di culto e scrigno prezioso dell’arte fiorentina.
Note sull'allestimento
L'idea del nuovo spazio espositivo è nata nel 2004 con la creazione di un gruppo di lavoro capace di integrare conoscenze e competenze storiche e progettuali. In questa fase progettuale ci si è concentrati sull’allestimento di un ambiente sottostante la Sagrestia Vecchia brunelleschiana, già utilizzato dalla Confraternita del SS.Sacramento. L’idea progettuale è scaturita dall’analisi dello spazio prescelto: la sala dell’ex Confraternita del SS. Sacramento sembra essere infatti la proiezione sul piano interrato dei puri volumi superiori, quasi a costituirne le radici. Inoltre la sala appare caratterizzata dalle figure geometriche del quadrato e della croce che ricorrono nella forma generale, nelle crociere e nel grande pilastro centrale, pernio statico e distributivo del volume, e nell’allineamento degli elementi di imposta delle volte al centro delle pareti. Si sono progettate vetrine che, per dislocazione, forma, materiali e finiture possono dialogare e tessere relazioni con lo spazio architettonico, posizionandole sulle pareti con una distribuzione cronologica partendo da sinistra entrando. I materiali utilizzati e i trattamenti superficiali eseguiti infatti interagiscono con quelli degli elementi del contenitore architettonico, e istituiscono un significativo contrasto con quelli delle opere esposte. Nel disegno delle vetrine si manifesta chiaramente la struttura portante in ferro patinato, la parte inferiore con cartelle finite a calce e patinatura assimilabile a quella delle pareti, la parte superiore caratterizzata da una grande superficie vetrata, in modo da concedere piena visibilità alle opere, lo zoccolo di base in legno e la modanatura del coronamento che alludono a una foggia classica. I piani espositivi ed i pannelli di fondo sono rivestiti in tessuto di raso di color rosso vivo a costituire quinta tonale per le opere in argento, mentre boccole orientabili a fibre ottiche illuminano i piani espositivi, per una corretta conservazione delle opere e per una resa ottimale dei colori. L’illuminazione di fondo della sala è ottenuta attraverso gruppi di lampade alogene celate nei comparti superiori di alcune vetrine in modo da indirizzare i fasci di luce verso le volte con effetto di luce riflessa, non prevaricante sull’illuminazione interna delle vetrine.
Orari